Dovrà essere sottoposto al pre ricovero in vista di un delicatissimo intervento, ma l’azienda per la quale lavora gli impone di lavorare in presenza fino a venerdì. Lui vive a Inveruno, ha 58 anni con l’85 per cento di invalidità ed è un cardiopatico portatore di defibrillatore. Il colpo più duro è arrivato con la scoperta di avere una ciste renala di Bosniak al terzo stadio. «Dal mese di ottobre dello scorso anno mio marito lavora in smart working – spiega la moglie – finché ha comunicato all’azienda che martedì prossimo si sarebbe assentato per il pre ricovero con necessità di rimanere a casa in isolamento per non correre il rischio di incontrare altre persone. Dall’azienda è arrivata, invece, la pretesa di entrare a lavorare in presenza fino a venerdì». L’isolamento per l’inverunese è stato raccomandato dagli stessi medici considerando il periodo. Se dalla ditta hanno assicurato che avrebbe avuto a disposizione un ufficio tutto per lui, senza entrare in contatto con altri dipendenti, il rischio è comunque elevato. «È sufficiente anche il solo uscire di casa per peggiorare le cose – aggiunge la moglie – Non riusciamo a capire il perché vogliano a tutti i costi la sua presenza in ditta per questi tre giorni quando lavora da ottobre in smart working». La donna spiega che anche i sindacati si stanno attivando a tutela del 58enne. Nella sua famiglia stanno vivendo tutti un momento terribile di angoscia ed è brutto doversi scontrare con la burocrazia di un’azienda che conosci da una vita e che non ti viene incontro. «La cosa peggiore – aggiunge la moglie – è che la comunicazione è pervenuta da un dipendente tramite un semplice messaggio. Quando ho chiamato questa persona mi sono sentita presa in giro. Ho chiamato in azienda, ma non ho ottenuto risposta e nessuno si è fatto sentire. Mio marito lavora in quella ditta da 38 anni e mezzo e un comportamento del genere è inspiegabile. Siamo delusi e amareggiati per come si sono comportanti. Dopo il pre ricovero dovrà subire un intervento importante in condizioni già deficitarie. Auspichiamo quanto meno delle scuse da parte dei titolari».
Inveruno, obbligato a lavorare in ditta prima del prericovero per intervento ad alto rischio. La moglie: “Decisione inumana, vogliamo le scuse”
Francesco Maria Bienati
Chi è Francesco Maria Bienati, innanzitutto… uno che fino qui ha vissuto e, a suo modo, vuole continuare a vivere. Come ha fatto finora, seguendo quello che la vita gli offre tentando di carpirne l’attimo. Lo stesso attimo che l'ha portato a intraprendere la strada del giornalismo: nel 1993, seduto su un muretto nei pressi dell’ospedale di Mostar, con la colonna sonora dei colpi di mitragliatrice, accorgendosi che c’era bisogno d’informare per sensibilizzare il mondo che c’era una parte di mondo che soffriva. Cosi, da appassionato fotoamatore diventa Giornalista (mi piace definirmi Fotoreporter). La mia sensibilità mi porta a proseguire l’esperienza bosniaca in altri paesi in guerra: Albania, Israele, Sudan. Altri reportage li realizzo in Togo, Egitto, Tunisia, Benin. In questi anni collaboro alla fondazione di due Onlus, l’Associazione Un Sorriso per il Sudan e Il Coordinamento Pro Missioni di Magenta. Dopodiché mi butto nell'imprenditoria, fondo una ditta di Autotrasporti internazionali che mi permette di girare per la vecchia e nuova Europa. Continuando a documentare in maniera personale le cose e le storie che vedo. Sono cofondatore dell’Associazione Amici di Mons. Macram, Vescovo Sudanese operante nella sua terra. Oggi continuo a seguire l’attimo: ho deciso di tornare a fare il giornalista, nel tentativo di dare voce a chi non ne ha.