I nostri paesi sono già citati nelle pergamene prima del Mille, ma probabilmente avevano radici profonde nei villaggi romani. Lo deduciamo dall’esistenza di alcune strade. Innanzitutto il fiume: era la più importante via d’acqua dell’antichità. E’ noto come il Ticino fosse completamente navigabile in età antica e il territorio attraversato da importanti vie romane, ma le strade preistoriche per eccellenza erano certamente quelle che costeggiavano il fiume. Anche i bagnasciuga dei fiumi e dei torrenti rappresentavano importanti vie di penetrazione in un periodo in cui le strade non esistevano e il nostro territorio era una enorme foresta. Sono i sepolcreti di età preistorica accertati sulla riva sinistra del Ticino, da Sesto Calende verso Sud, a segnare il corso di un tratturo che risaliva il fiume da Pavia a Sesto. Delineavano quella che fu chiamata Strata merchatorum proprio perché percorsa dai mercanti che scendevano da Nord. Fu tracciata sul più alto dei terrazzi del fiume e congiungeva il lago Maggiore a Pavia. Anche la Comum-Novaria transitava sul nostro territorio, documentata dal fatto che la comunità di Velate avesse degli obblighi nei confronti della strada che portava al porto sul Ticino a Turbigo. Per il passaggio sul fiume di questa strada fu costruito nel V secolo d. C. un ponte in legno con basamento in pietra a servizio di questa strada della quale è rimasta la pila che si trova in uno stato pietoso aggredita dalla vegetazione che la sta ‘metabolizzando’. Poi, poco distante dalla pila, c’è il palificato del ponte del 1274 rinvenuto qualche anno fa nell’alveo del fiume che documenta ulteriormente l’antica strada. Infine, anche la strada consolare delle Gallie (Milano-Novara-Monginevro) aveva delle derivazioni che arrivavano al passaggio sul fiume a Turbigo, anche se alcuni studiosi propendono per il passaggio prevalente a Induno e/o Boffalora-Magenta.
96 a.C. Novara venne proclamata colonia romana
49 a. C. Milano é municipium romano, Gli antichi insediamenti diventano dei vici, cioè piccoli centri di carattere rurale, serviti da strade vicinali gestite dagli stessi centri.
CASTANO PRIMO
Per quanto riguarda la presenza romana a Castano, abbiamo l’ipotesi di Virginio Martinoni – non condivisa da alcuni studiosi – dell’accampamento romano del III-IV secolo d. C. all’interno della quale il fosso del Panperduto (Foto) rappresentava un’opera di difesa a Nord.
1) Il ritrovamento di alcune tombe, il cui contenuto è stato fotografato da padre Virginio Martinoni nell’area di casa Seratoni, avvenne circa cinquant’anni fa. Si dice che ad un certo punto dei lavori di scavo – nell’area di costruzione della piscina – la ruspa affondò in una camera dov’erano conservate delle tombe alla cappuccina realizzate con tegole (embrici?) portanti il simbolo del sole…. Ricordiamo l’esistenza, in loco, dell’antica chiesetta di San Pietro documentata ancora alla fine del Cinquecento probabilmente posta nell’area di prorpietà Seratoni;
2) Tombe alla Cappuccina IV-V sec. rinvenute alla Cascina Ronco, oggi in territorio turbighese;
3) Località Scaldasole vasta necropoli romana I sec. d. C. (notizia avuta da Angelo Vittorio Mira Bonomi, d’ora in poi AVMB);
4) Località Ponte Castano, probabile tratto di strada mercatoria (AVMB);
5) Un’anfora cineraria e una lampada votiva furono rinvenute nel 1760 in un fondo detto “alle Tancie” del fu conte Dugnani Corio;
6) Altre anfore scoperte nel 1882-84 durante lo scavo del Canale Villoresi, vicino all’attuale ponte Salmoiraghi;
7) L’ingegnere Mario Schiepatti lasciò scritto che tra il 1920-30 furono rinvenute delle urne cinerarie tra piazza Garibaldi e il canale Villoresi, luogo dell’antica necropoli pagana;
8) nel 1989 l’architetto Filippo Tartaglia ha informato del ritrovamento di una necropoli (1° secolo a.C.) posta a 80 centimetri dal piano terreno di una vecchia casa (non identificata, all’inizio della Via per Turbigo) sulla quale si era intervenuti per realizzare un vespaio. Furono ritrovate cinque anfore segate che avevano raccolto le ceneri dei defunti a loro volta contenute in un’urna insieme ad altri oggetti.
CASTELLETTO DI CUGGIONO
1901 – Gallizia. Rinvenute anfore di cremati con corredi metallici e monete di Vespasiano (69-79 d.C.) e Traiano (98-118 d.C.). Fu all’inizio del Novecento che tre personaggi locali, l’industriale Luigi Grassi di Turbigo, ma nativo di Inveruno; Angelo Rossi, orefice a Cuggiono e il dottor Agostoni pure di Cuggiono si misero a collaborare con il cavatore Luigi Naggi il quale aveva visto affiorare nelle sue operazioni in cava oggetti romani rinvenuti in alcune tombe e raccolti nella sua villa.
“C’erano diversi attrezzi di vita e di lavoro – scrive il Sutermeister – cesoie a molla e coltelli, strigile di fattura leggera con lievi e semplici ornati, specchi metallici in antimonio puro di forma rotonda e rettangolare e fittili vari: vasetti, lucernette, olpi, bicchieri, fusarole e un’anfora delle dimensioni di 350×700 mm. Oltre a monete in bronzo di cui una del diametro di 33 mm è un asse onciale; le altre monete sono bronzi imperiali illeggibili salvo uno su cui si vede distinta la sigla ‘SC’ (Senatus Consultus)”.
Qualche decennio dopo (1936), nelle sue ‘Memorie’ il Sutermeister, l’ingegnere che lavorava alla Tosi, ma che è passato alla storia come il nostro ‘archeologo locale’, descrive una visione topo-archeologica del pianoro fra ‘In Scanscieu’ e la ‘Gallizia’ con le seguenti parole:
“Lungo il ciglione della collina, che corre parallela al Ticino, e strapiomba sull’odierno Naviglio Grande, hanno esistito nello spazio di 1500 metri di lunghezza:
– una stazione di terramaricoli riconosciuta nel 1902 dai proff. Castelfranco e S. Ricci;
– un estesissimo sepolcreto Romano-Imperiale (1902-1910), il tutto inghiottito dagli scavi di ghiaia e sabbia (cavatore Luigi Naggi) che caricata sui barconi puntava alla Darsena milanese (del quale scriviamo all’inizio);
– un sepolcreto Gallo-Romano in località ‘in Scanscieu’ a 500 metri a Levante dalla Stazione Preistorica detta;
– costeggiando il ciglione a 500 metri verso Nord stazione dell’Epoca del Ferro: due cinerari nel punto in cui dalla strada Cuggiono-Induno si distacca la stradetta che svolta a sinistra per scendere ala Naviglio Grande ed alla Cascina Gallizia. Nel fondo detto “Il portico di Margarita Franz” il contadino Natale Erba di Cuggiono nell’aprile 1939 rinveniva due loculi golasecchiani all’interno di uno dei quali la metà di un coltellone i bronzo, di costruzione originale, poco adatto al lavoro di fatica, probabile attrezzo rituale per il sacrificio della pecora od agnello. Il rito di spezzare gli attrezzi del defunto prima di immetterli nel cinerario dai tempi celto-gallici attraversa anche il periodo romano.
Ne abbiamo abbastanza per farci un quadro del giacimento etnico perdurato per vari millenni su questo terrazzo che spazia su di un meraviglioso panorama: la valle verdeggiate del Ticino, le fronteggianti colline e terre del Novarese e la lontana (ma non troppo) corona delle Alpi con il massiccio del Rosa.
E’ una stazione del millenario moto etnologico”
La trasformazione della cascina Galizia in agriturismo
L’ipotesi di recupero della Cascina Galizia era condensata in una tesi di laurea in architettura di Cristiana Dell’Acqua e Giovanna Gennaro presentata nell’anno accademico 1999-2000. Relatori il prof. Filippo Tartaglia e l’arch. Maurizio Airoldi. Lo studio iniziava con l’elencare le numerose scoperte archeologiche databili alla prima Età del Ferro fino al periodo tardo antico. Poi affrontava la successione della proprietà: dal reverendo Melchiorre Galizia al capitano Luigi Galizia. Nel Catasto teresiano (1722) l’area occupata dalla cascina era identificata con il numero di mappa 398 ed apparteneva a Rodolfo della Croce, tutore dei figli minorenni che ereditarono la proprietà alla morte della madre Ippolita Galizia, che l’aveva a sua volta avuta dal padre, capitano Luigi. Ma nelle tavole del nuovo estimo redatte nel 1751 i proprietari della cascina risultano essere i Padri Domenicani di S. Eustorgio che acquistarono la proprietà nel 1737, aggiungendola ai numerosi possedimenti che avevano a Castelletto dov’era situato anche il convento posto accanto all’attuale chiesa recentemente restaurato dal Decanato di Castano Primo. Nella mappa del Catasto Lombardo-Veneto del 1857 l’area è identificata dal numero di mappa 822 e apparteneva al nobile Giovanni Battista Cagnola. Nel Catasto attuale del 1958 risulta che la proprietà è della società ‘Immobiliare Galizia s.r.l’ con sede a Cuggiono che l’acquistò nel 1983 dai Fratelli Naggi. Nel 2014 La famiglia Tarantola di Rosate ha acquistato la Galizia, insieme alla cascina Della Croce e alla Gallarata trasformandole in agriturismo.
NOSATE
1904 – Fra Tornavento e Turbigo, durante gli scavi per la costruzione della prima centrale idroelettrica della Società Lombarda – come documentato su Memorie, n. 3, Legnano, 1936 – furono rinvenuti fittili di età Repubblicana, Roma Imperiale e Barbarica: due umboni di scudo, uno spadone, due lance, bardature di cavalli probabilmente parte di tombe di due guerrieri longobardi. Fra i fittili, due olpi con la pancia piccolotta e sferica.
Le spade celtiche di Nosate (280 a.C. con stampigliata a fuoco una ‘luna’, mentre quella di Magenta aveva impresso un cinghiale), ottenute da masselli abbastanza grossi atti a ricavare in una sola volta la lama e la relativa impugnatura, proprio per la loro particolarità sono state sottoposte ad esami tecnologici e, Marina De Marchi le ha inserite nel Catalogo dei materiali altomedioevali delle Civiche Raccolte Archeologiche di Milano dando il giusto valore ad uno dei ritrovamenti più importanti di questo secolo. Difatti, all’atto dell’acquisizione da parte del Museo, gli oggetti provenienti da Nosate non vennero inventariati e furono ‘riconosciuti’ in tempi recenti grazie ad alcune illustrazioni del Ricci – allora direttore del Museo Archeologico – ed ad una breve nota del Sutermeister.
Altre citazioni della romanità nosatese le troviamo in Bertolone (Lombardia Romana) dove si dice: “Due sepolcreti rinvenuti vicini al Canale Industriale. A ponente del paese: tombe in nuda terra e a mezzodì dello stesso, però non ben precisate, contenenti un elmo ed accessori in ferro. Qualche oggetto fissile sparso recuperato di recente e poca profondità, in fregio alla strada che lambe il fianco meridionale di Santa Maria in Binda”;
1983 – Necropoli romana con anfore rinvenuta durante costruzione casa in località Vignazze. Olpe piriforme e patera a basso piede che Binagli ha datato al 1 sec. a.C. Pubblicata sulla rivista della Soprintendenza 1988-89, p. 222.
INVERUNO
1998 – La grande necropoli pagana. Durante gli scavi per la realizzazione di un complesso residenziale lungo la Via Varese a Inveruno, sono state portate alla luce duecento tombe risalenti al tempo della Roma Imperiale, datate tra il I e il IV secolo d. C. Secondo gli studi effettuati, l’area della necropoli era estesa per circa 1200 mq, in prossimità della grande via consolare Mediolanum-Novaria. Il rito funerario praticato era l’incinerazione diretta: il defunto veniva collocato su un lectus di legno (i resti del rogo analizzati hanno indicato che fu utilizzato il cerro, una particolare quercia della valle del Ticino) insieme ad alcuni oggetti personali e il tutto alla fine veniva raccolto in un’anfora. Per lo più si trattava di coltelli, cesoie, rasoi da cui si deduce che la comunità insediata fosse dedita ad attività agricolo-pastorali.
I Longobardi a Inveruno. Riposano ancora in un campo che l’ing. Tanzi regalò a sindaco Virga, dicendogli di non permettere di costruirvi nulla. Finora, anche se il terreno è edificabile, nessuno ci ha messo mano. E’ un campo incolto dove ogni anno si tiene l’esposizione della mucche, razza ‘frisona’, durante la fiera di San Martino. Una fibula longobarda fu rinvenuta in una tomba posta tra il distributore di Via Novara e la roggia
BERNATE TICINO
2005 – La necropoli cristiana. Durante i sondaggi in una striscia di terra che sarebbe stata interessata al passaggio del Treno ad Alta Velocità (linea ferroviaria Novara-Milano), in località Bernate Ticino, nei fondi a sud della Cascina Roma, è stato rinvenuto un interessante gruppo di tombe d’età tardo romana, datate V secolo d.C. La loro struttura quasi esclusiva era quella alla ‘cappuccina’: esse erano costituite da tegoloni messi a spiovente e con il colmo in coppi sopra il corpo del defunto. Queste tombe attestano il rito dell’inumazione nella nuda terra, una pratica relativamente più recente rispetto a quella dell’incinerazione documentata dalla necropoli di Inveruno. Ciò testimonia il passaggio, avvenuto in epoca tarda, dai riti pagani a quelli cristiani.
MAGENTA
Il Parodi in Notizie storiche di Magenta (1924) scrive del ritrovamento di una necropoli presso Istituto Canossiane di Via S. Biagio (preromana e romana); di un’ara romana accanto alla Cappelletta di S. Teresa.
1895 – Necropoli romana, risalente al I secolo a.C. presso la Cascina Bovisa ora demolita a Pontevecchio. (Parodi). Ritrovate parecchie anfore e urne cinerarie, un balsamario, altri vasetti di vetro unguentari ed altri modesti arredi, ma anche una moneta battuta sotto l’impero di Tiberio (14-37 d. C.) Il ritrovamento di questa moneta, unito agli altri oggetti rinvenuti, dimostra l’incontro e l’integrazione di due civiltà, quella dei Celti e quella dei Romani.
1933 – Lungo la sponda destra del Naviglio Grande, nella cava di ghiaia Airoldi (in prossimità dell’omonima cascina) furono trovati oggetti di forma varia: venti casette di diversa forma in terracotta, una ciotola ed oggetti di ferro assai caratteristici. Questi ultimi sono una spada di ferro con fodero pure in ferro, una lancia di ferro a foglia d’olivo, due coltelloni unitaglienti, quattro fibule in ferro, alcuni frammenti di cesoia di tosatore, un manico di secchiello (situla). Il tutto al centro di un rogo crematorio del rito funerario di incinerazione tipico dei Celti..
MALPENSA
1988 – Età del bronzo finale. Nell’area a N dell’espansione aeroportuale (Malpensa 2000) alcuni sondaggi stratigrafici hanno evidenziato strutture funerarie completamente sconvolte da trincee militari. L’analisi tipologico degli scarsi reperti indica cronologicamente l’età del Bronzo Finale, ampiamente documentata nella piana di Malpensa.
1990 – Durate i avori legati al prolungamento della ss. 336 sono affiorate 26 sepolture datate 1 sec. a.C. E 1° sec. d. C. con le quali è stata allestita una mostra all’aeroporto che ha permesso la ricostruzione – con pannelli didattici – dei riti e usanze funerarie del territorio nei primi secoli della romanizzazione
FOTO 1 – Quello che resta del fosso del Panperduto al confine tra i territori di Nosate e Lonate Pozzolo. Padre Virginio Martinoni parla di un fosso di difesa a Nord dell’accampamento romano, mentre potrebbe essere anche il primo tracciato del Naviglio che avrebbe dovuto collegare il Ticino all’Olona; 2 – Il ritrovamento fotografato da padre Virginio Martinoni del rinvenimento a Casa Seratoni al ponte di Castano durante lo scavo della piscina; 3 – Un particolare di una carta geografica che indica il ‘Fosso del Panperduto’ a nord dei territori di Castano e Nosate