Della presenza celtica e romana documentata abbiamo scritto. Di seguito aggiungiamo alcune precisazioni premettendo che con l’imperatore Augusto le terre del medio Ticino furono inserite nella Regio IX Transpadana, una regione dove si campava con allevamento (pecore e suini), del lavoro nei campi, ma anche di caccia e pesca. I luoghi di sepoltura erano fuori dall’abitato vero e proprio, così come facevano i Galli anche i romani seguirono la coutume di cremare i defunti: urne con coperchio, anfore vinarie segate, cassette di tegoloni accolsero le urne con le ceneri insieme a scaglie di ossa incombuste, come quella recentemente affiorata al ‘pianoro’ posto di fronte al Padregnano. Come già scritto, necropoli romane a cremazione sono diffuse ovunque: Lonate Pozzolo, Castano (lungo il canale Villoresi), Turbigo, Padregnano, Robecchetto con Induno, Castelletto di Cuggiono…Monete romane e celtiche sono state rinvenute anche nei dintorni della Cascina Picchetta sulla sponda destra del Ticino. Un tempio di età augustea è stato ipotizzato dall’architetto Angelo Vittorio Mira Bonomi nell’area cimiteriale di Robecchetto. La cattedra di Archeologia classica dell’Università Cattolica (prof. Sacchi) ha avviato, nel febbraio 2021, approfondimenti sull’area a corollario del camposanto che potrebbe portare a scoperte molto interessanti.
Are votive in pietra in onore a Giove, Mercurio, ma soprattutto alle divinità agricole-pastorali, come Diana e Silvano, si possono ancora vedere a Lonate Pozzolo. Sono conservate presso la chiesa di Sant’Ambrogio (diversamente di quelle di Corbetta che sono murate all’esterno della chiesa e quindi consumate dal tempo), documentano il culto tributato in età romana a Diana e Silvano. Da queste devozioni si deduce l’ambiente agricolo-pastorale del tempo, dove gli abitanti erano dediti alla pastorizia, all’agricoltura, all’attività venatoria e alla pesca.
La crisi economica del III secolo d.C. porta al dissolvimento delle ville e contemporaneamente la mancata manutenzione delle strade avvia il processo di disfacimento dell’impero romano d’Occidente, la cui ‘cultura’ fu, per fortuna, tramandata dai monasteri. Della presenza di ville romane nel nostro territorio non ci sono dati certi, solamente ipotesi: come quella riguardante l’affioramento di tessere di mosaico nel parco del palazzo De Cristoforis avvenuta in occasione dello sradicamento – a seguito di una tromba d’aria nel 1947 – di in Cedro del Libano, tessere colorate facenti parte di un pavimento rinvenute insieme a monete dell’epoca dell’imperatore Gallieno (foto).
Turbigo sede dello skuldaizo. Era l’ufficiale longobardo che aveva poteri civili e militari necessari al governo del territorio, Lo documenta il toponimo ‘scaldasole’ che dà il nome ad una antica cascina collocata sull’altopiano turbighese, un tempo appartenente al borgo di Castano. Al tempo dei Longobardi era importante l’insediamento arimmanico di Pombia, centro militare retto da un gastaldo, collegato a Castelseprio. Pombia e Castelnovate nel sistema difensivo tardo antico medievale, pedemontano del Ticino sono stati studiati a fondo da Marco Balbi nella sua tesi di laurea pubblicata su ‘Contrade Nostre’ (vol.7) e lì rimandiamo a chi volesse saperne di più del mondo longobardo. Coniarono una sola moneta (tremissi) e il mezzo di scambio era il pane o la scodella di segale.
A questo tempo appartiene la seguente storiella fantastica che però ha ricevuto l’attenzione di storici di qualità, come il Fiamma e il Muratori.
RINVENUTO IL SEPOLCRO DI GALDINO RE DEI LONGOBARDI A TORBA. Siamo nell’anno 1339, il domenicano milanese Galvano Fiamma (1283-1344) nel suo Opusculum de rebus gestis Azonis Vicecomitis parla del ritrovamento al monastero di Torba della tomba del ‘Re dei Lombardi’ (longobardi). In tale sepolcro giaceva Galdi di Turbigez (Turbigo in francese), re dei longobardi, sul suo capo era posta una corona d’oro con pietre preziose. Poggiava la mano sull’elsa di una spada collocata al suo fianco, Sul pomo dell’elsa così era scritto: Cel est le spee de messer Tristan un il ocist Lamoroyot de Yrlant (questa versi in francese signficano: “Questa è la spada di Tristano con la quale egli uccise Lomoroyot d’Irlanda”. Inoltre, nella mano sinistra aveva una scritta che riportava: “Io sono Galsi di Turbigez, re dei lombardi incoronato…”.
“Eodem anno sub castro Seprii in Monastero de Torbeth (Torba), flante quodam vento terribili, quaedam magna arbor divinitus est evulsa radicitus, subque inventa fuit sepultura ex marmore multae pulchritudinis: in hoc sepulcro jacebat Rex Galdanus de Turbet, Rex Longobardorum, in cujus capite erat corona ex auro in qua erant tres lapides pretiosi, scilicet Carbonculus pretii mille florenorum, et unus adamans pretii II”,
Questo strano racconto è riferito, parola per parola, nel Flos flurum, cronaca del XIV secolo, attribuita ad Ambrogio Bossi (cod. Braidense A.G. IX. 35 f. 211.t)
Ne hanno scritto anche il Muratori e riferito altre due volte prima da Gualtiero Scott, Sir Tristrem, ed, 1819, poi dal Michel, Tristan, vol. II. Cfr, anche De Castro. La storia della poesia popolare mil. , Milano, 1879, p. 32.
La critica alfine arriva a dire che il cronista milanese, Galvano Fiamma, recupera una leggenda bretone a suo uso e consumo e la inserisce nei miti, leggende e superstizioni del medio evo:
“Nell’anno 1339 Giovanni Brusato di Brescia fu eletto podestà di Milano. Nello stesso anno, nel territorio del Seprio, monastero di Turbigo a causa di un vento terribile, un grande albero fu strappato alle radici e sotto di lui fu scoperto un sepolcro di marmo di grande bellezza. In questo sepolcro giaceva il re dei Longobardi, Galdano di Turbigo, sul capo del quale c’era una corona d’oro con tre pietre preziose, cioè un carbonchio del valore di mille fiorini, un diamante del valore di duemila fiorini, e un’agata del valore di cinquecento fiorini. Nella mano sinistra aveva una sfera d’oro e al suo fianco c’era una spada con un grosso dente sul filo, che era appartenuta a Tristano di Leonois, che con essa aveva ucciso Lamorath Durlanth (Amoroldo d’Irlanda). Sul pomo della spada era scritto: “Questa è la spada di messer Tristano, con la quale uccise l’Amoroldo d’Irlanda”. Nella mano sinistra aveva uno scritto con questi versi: “Io sono Galdo di Turbigo, re incoronato dei Longobardi, apprezzato sopra gli altri nobili. (Non) prendete ciò che volete, vi prego in nome di Dio di non spogliarmi”.
FOTO la moneta dell’imperatore Gallieno rinvenuta nel parco del palazzo De Cristoforis di Turbigo