Nella suddivisione di massima tra arte classica e arte anticlassica quella di Claudio Jaccarino rientra sicuramente nella seconda categoria in quanto non si preoccupa di canoni estetici di riferimento, trascura l’eccellenza manuale di tipo artigianale e per essere apprezzata ha bisogno di essere contestualizzata.
Più che la distinzione tra arte classica e arte anticlassica credo che oggi interessi quella tra opere che vengono viste e dimenticate e opere che durante la notte, o il giorno dopo, ti tornano in mente e ti fanno riflettere. Il libro di Claudio Jaccarino è sicuramente un libro necessario e infatti dopo averlo letto mi ha mosso qualcosa dentro che mi porta a scrivere questa recensione che tenta di indagare l’aspetto pittorico partendo dai contenuti del libro. Dicevo che è necessario, all’autore che ha dovuto scriverlo per soddisfare la necessità interiore di esprimersi della quale tanto ha parlato Kandinsky ne “Lo spirituale dell’arte” ed è necessario allo “spettatore” per poter contestualizzare e comprendere Claudio Jaccarino, il suo modo di dipingere o meglio, quello di esprimersi.
Occorre leggere questo libro per scoprire che Claudio iniziò a parlare tardi. Quella dell’acquerello è una forma espressiva che lo ha accompagnato nei primi anni di vita e con la quale si è definitivamente ricongiunto in età adulta.
Se <arte è tutto ciò che cerca di mettere in relazione e crea un certo “ordine”> [1] questo libro riesce appieno nell’intento artistico.
E’ utile riportare il modo in cui Claudio Jaccarino si autodefinisce narrando la lunga esperienza teatrale e di vita all’interno della Comuna Baires che lo portò a vivere per molti anni in Sud America: “poeta beat che scrive ad acquerello trasportato direttamente dal romanzo on the road sulle strade di terra battuta dell’Argentina”.
Il modo di dipingere di Claudio può far storcere il naso ad alcuni amanti di pittura, per l’appunto classica, può sembrare provocatorio, come a suo tempo sembrava provocatorio marciare con un cartello addosso che riportava la scritta “ogni esercito è nero” o recarsi al Comune per sposarsi con la faccia dipinta di bianco e nero. Era un’altra epoca, un’altra realtà che oggi non riusciamo nemmeno ad immaginare. Una foto ritrae gli attori della Comune Baires che recitano nudi: donne dai seni prosperosi e dai peli pubici folti che all’occorrenza sono attrici, filosofe, coltivatrici e mamme. Un’altra realtà, un’altra libertà.
Macchiare i fogli di carta, lasciare che s’imbarchino inzuppandosi d’acqua sfumando i contorni del colore, facendo sparire i confini e sovrapponendo nuances può sembrare un gesto troppo naif. Eppure la sua pittura se guardata solo dal lato della realizzazione materiale è questo.
Ma questo punto di vista non è esauriente. Alla pittura di Claudio Jaccarino va dedicata la stessa prospettiva osservatrice all’epoca impiegata per il dripping dell’ action painting americana: se i quadri che nascono dall’action painting sono la testimonianza di un’azione, i dipinti di Claudio Jaccarino ad acquerello sono la testimonianza di un incontro umano che si è realizzato.
Perché nel gesto dell’incontro con l’altro, guardandolo negli occhi e cercando di carpire “le storie intuivi che temevi di raccontare con le parole”[2].
Ci sono tre frasi nel libro che fanno capire bene la radice pittorica di Claudio Jaccarino:
– “la parola che definisce uccide una vita”;
– “ogni parola nome di una rosa è un nome singolare della morte tranne la vita che non è parola”;[3]
– “né lasciare né trattenere”.
Se la vita di Claudio Jaccarino è stata finora spesa nella politica della non violenza, nell’obiezione di coscienza, nella partecipazione politico-sociale e nell’amore libero, pittoricamente non poteva che effettuare una trasposizione di questo modo di intendere la realtà, scegliendo supporti che spesso sono semplici fogli di giornale, mettendo il colore senza predestinargli un punto. Non poteva che esprimersi nella indefinizione delle forme che rappresentano esse stesse violenza. Mettere il colore in un determinato punto, comprimerlo in confini predeterminati senza lasciargli la libertà di andare dove vuole rappresenta una violenza. Imporre un canone estetico, rispettarlo e contribuire a diffonderlo rappresenta un’ulteriore violenza. Lasciare che le forme nascano libere e autonome è la giusta trasposizione in chiave visiva della sua esistenza, del suo pensiero e della sua anima.
La memoria sono pagine colorate vol. 1 è frutto della collaborazione di Claudio Jaccarino con Massimiliano Masa e può essere considerato, oltre che un libro d’arte, anche un’emozionante testimonianza storica.
In attesa di leggere il secondo volume della fantastica esistenza di Cladio Jaccarino, già disponibile nelle librerie, condivido queste mie riflessioni.
[1] La memoria sono pagine colorate vol. 1, La memoria del Mondo Libreria Editrice, Magenta – ottobre 2020, Pag. 41.
[2] La memoria sono pagine colorate vol. 1, La memoria del Mondo Libreria Editrice, Magenta – ottobre 2020, Pag. 115.
[3] La memoria sono pagine colorate vol. 1, La memoria del Mondo Libreria Editrice, Magenta – ottobre 2020, pag. 113 (la frase è di Renzo Casali).