Il Basso Medioevo non è mai stato studiato nei nostri paesi. Ci sono però alcune pergamene che fanno pensare che fosse un loco ‘importante’ e dalle quali si registra il passaggio dalla legge longobarda a quella romana. In primis la presenza dei Capitanei di Turbigo (Capi pieve) personaggi legati alla Chiesa (probabilmente appartenenti alla nobile famiglia dei Corio) che avevano l’onere e l’onore di raccogliere le decime dai poveri contadini; in secundis la presenza del porto sul Ticino al passo di Turbigo-Galliate, già citato nel 1098 in proprietà del famoso monastero di S. Ambrogio di Milano, oggi sede dell’Università Cattolica. Poi il Padregnano, tutto da studiare, dove si rogavano pergamene nel 1097 e dove si insediò un monastero fruttuariense lungo la via che conduceva al porto di Turbigo sul Ticino, lì nel punto in cui si intersecava con la strada mercatoria che dai paesi dei laghi (Bellinzona) scendeva fino a Pavia.
1083 (6 marzo) – Guido, conte, del fu conte Guido, dona molti poderi in Valsesia, Castelletto ed altrove all’abbazia di Cluny. Nel testo si legge che: ”widoni comiti adueverunt per cartam a parte Ottoni et Unfredi germani filii quondam Ottoni de Turbigo ut dicitur est jamdictas (…). AA.VV., Le carte dell’archivio capitolare di Santa Maria di Novara,vol. 2, Pinerolo 1913.
1087 – I fratelli Ottone e Unfredo, figli del fu Ottone da Turbigo, fecero una donazione all’abbazia di Cluny, donazione che comprendeva beni comperati a Stodegarda. F. COGNASSO, Storia di Novara, 1971, p.120.
1094 (giugno) – Milano. Anselmo del fu Arderico, che era detto Capitano, della città di Milano e la moglie Anna figlia di Redaldo, pure di detta città, di legge longobarda, donano al monastero di S. Maria e S. Benigno di Fruttuaria la loro porzione della chiesa di S. Martino con tutte le pertinenze, posta nel luogo di Padregnano.
Originale conservato nell’Archivio di Stato di Torino, Regio archivio di Corte abbazia di S. Benigno, mazzo 12, n. 3 (A). Pubblicata in Hist. Patr. Mon. Chartarum I, c. 70, n. 425. Cfr. G.L.BARNI, Storia di Milano, III, p. 230. C. MANARESI-C.SANTORO, Gli atti privati milanesi e comaschi del secolo XI, vol. IV, pp. 460-461, n. 803, Milano, 1969.
Anno ab incarnacione domini nostri Iesu Christi millesimo nonageximo quarto, mense iunii, indicione secunda. Ego Anselmus filius quondam / Arderici, qui fuit dictus Capitaneus, de civitate Mediolani et Anna iugales, filia Redaldi de suprascripta civitate qui professi sumus lege vivere Langobardorum, consentiente mihi suprascripti Anne predicto viro meo et subter leguntur in quorum presentia et testium certam facio professionem et manifestacionem eo quodo ab ipso iugale /meo vel ab alio homine nullam patior violemtiam misi mea bona et spontanea voluntate, hanc cartulam iudicati cum suprascripto iugale meo facere visa sum/ presens presentibus diximus: Dominus omnipotens ac redemptor noster animas quas condidit ad studium salutis semper invitat. Et deo nos qui supra iugales presenti / dieet ora volumus et indicamus ut habeat monasterium sanctorum Marie et Benigni seu Tiburtii quod dicitur ad Fructuariam et tam / ipse Avuibertus habbas qui modo est quam et eius successores et pars ipsius monasterir, in eorumpotestate et proprietate, hoc est/ nostram portionem de ecclesia Sancti Martini et omnes res ad predictam esccleiam et suprascriptam nostram portionem pertinentibus iuris nostri, posita in / loco et fundo Padreniano intus villam de ipso loco, quantacuque ipsa nostra portio de suprascripta ecclesia sancti Martini et de omnibus rebus / in qualicumque loco positus, ad ipsam ecclesiam et predictam nostram portionem pertinentibus inventa fuerit in integrum, ita ut faciat ipse Avuibertus abbas / et eius successor et pars ipsius monasterii de suprascripta nostra portione de suprascripta ecclesia et de iam dictis rebus iure proprietario nimine voluerit pro / remedio animarum genitoris mee suprascripti Anselmo et omnium parentum nostrorum seu pro animabus omnium defunctorum. Quia/ sic decrevit nostra bona voluntas. Eo tamen ordine ut de ipsis rebus in alia parte nulla alienatio fiat, et si factum est/ revertatur in heredes meos, sicut antea fuerit quam hoc indicatum factum fuiisset. Unde duo indicati uno tenore scripti/ sunt. Actum suprascripta civitate.
Signum manuum suprascriptorum Anselmi et Anne iugalium, qui hanc cartulam indicati et ordinationis ut supra fieri roga/verunt et ipse Anselmus eidem cniugi sue consensit ut sopra.
Signum manuum Redaldi et Rozonis patris et filii, genitoris et germani suprascripte Anne, qui eam interrogaverunt ut sopra/ et in hac cartula ad confirmandum manus posuerunt.
Signum manuum Pax et item Anselmi seu Iohannis atque Obizonis, testium (questo testimone potrebbe appartenere alla stessa stirpe di colui che è presente nella pergamena del 1150 riguardante Turbigo).
Ego Anselmus notarius sacri palatii et index domini imperatoris scripsi, post traditam complevi et dedit.
1097 (maggio 28) – Padregnano. Algerio del fu Vualone del luogo di Bernate, di legge Longobarda, vende ad Ariberto prete, figlio del fu Ambrogio del luogo di Castano tutti i beni che possiede nei luoghi di Inveruno, Bernate e Trecate.
Lo storico milanese Giorgio Giulini (1714 –1780) aveva già pubblicato una sintesi di questa pergamena (Libro XXVIII, pp. 352-353) che fu poi interamente pubblicata nel 1969 da C. MANARESI-C.SANTORO, Gli atti privati milanesi e comaschi del secolo XI, n. 851, pp. 552-553.
Il contratto fu firmato a Padregnano (allora era un centro importante che orbitava verso Turbigo) e sottoscritto (signum manibus) fra gli altri da Ariprando e Wilielmo fratelli del luogo di Turbigo e Ottone da Cuggiono (…).
1098 (gennaio) – Turbigo. Algerio (il venditore del precedente atto notarile) morì poco dopo e con un’altra pergamena del gennaio 1098 firmata a Turbigo (MANARESI-C.SANTORO, Gli atti privati milanesi e comaschi del secolo XI,n.855) il compratore Ariberto, prete di legge romana (non più longobarda come nel caso precedente) fece il suo testamento e stabilì che l’usufrutto di tutti i beni restasse a Otta, madre del defunto Algerio, Lasciò poi la metà dei detti beni, eccetto il porto della riva del fiume Ticino, alla chiesa di S. Giorgio del luogo di Bernate che apparteneva al Monastero di San Vincenzo di Milano, mentre l’altra parte dei beni alla Chiesa stessa senza condizioni in quanto non soggetta ad alcun juspatronato. Il porto sul Ticino a Turbigo venne lasciato al monastero di S. Ambrogio di Milano.
“Actum in loco Turbico. Ego Aribertus presbiter a me facta subscripsi. Signum manibus Bellardi et Attonis qui professi sunt vivere legem Romana. Testes: signum manibus Ariprando e Wilielmo fratelli, Lanfranci, Algerii, Rogerii, item iermanis, sen Anselmi atque Pahani”.
1115 (novembre) – Varese. La pergamena pubblicata n. 69 sul ‘Regesto di S. Maria di Monte Velate sino all’anno 1200 (Regestum S. Mariae de Monte Vellate)’, pubblicato dall’Istituto Storico Italiano a cura di Cesare Manaresi, Roma, 1937, vede in primo piano Waldeus presbitero ufficiale dell’oratorio di S. Maria al Monte Velate, il quale cede a livello un terreno in Sacconago (terra vinea cum arbore) e cita alcuni proprietari residenti nei nostri paesi tra i confini: “Arderici de Turbigo et item Arderici. de Mediolani (…) monasterio de Padregnano (…) Uberti de Galiate”.
1140-41. Castano-Lonate. Corrado III imperatore conferma al conte di Biandrate tutti i suoi possessi feudali tra cui un mulino per gli uomini di Castano e un altro per quelli di Lonate: “et nominative illam regaliam, quam homines de predicto loco Castano tenent et ubi habent edificata molendina super ripam fluminis Ticini“. Successivamente, Federico I imperatore conferma al conte Guido di Biandrate i possedimenti allodiali e feudali già confermati dai precedenti imperatori (1152). Ancora Enrico VI imperatore conferma tutti i beni allodiali e feudali ai fratelli Uberto e Rainero conti di Biandrate, figli del fu conte Guido (21 settembre 1196). Ottone IV, re dei Romani, conferma ai conti di Biandrate i beni allodiali e feudali già concessi dai predecessori (1° settembre 1209). La “molendina sopra ripam fluminis Ticini” è, molto probabilmente, il ‘Mulino Vecchio’ in territorio del Ponte di Castano ancora oggi esistente in uno stato miserevole.
C.G. MOR, Carte Valsesiane fino al secolo XV, Torino, 1933.
1150 – Turbigo. La pergamena pubblicata su ‘Contrade Nostre’ (vol. I, 1978) tratta dell’investitura di un feudo in Vico Maggiore che i Capitanei di Turbigo, Wifredo, Pagano. Obizone, Carnelevario, fecero ai fratelli Malgirone e Strametto. La famiglia de’ ‘Signori di Turbigo’ doveva essere molto rispettabile perché oltre ad essere padrona del luogo (nel castello dove fu firmato l’atto notarile)) dava ai suoi vassalli dei feudi in altre parti.
Dei Capitanei delle pievi (erano una sessantina nella Diocesi di Milano) si parla ancora in una sentenza pronunciata dai consoli di Milano in merito alla vertenza tra l’abate di Chiaravalle il casato Puteobonello di Milano.
- MANARESI, Gli atti del Comune di Milano, 1919, p. 113
1164, 9 giugno. Pavia. L’imperatore Federico I assegna il feudo della pieve di Dairago a Rainaldo di Dassel, arcivescovo di Colonia. La pieve di Dairago nel secolo XII appare composta da quegli stessi insediamenti che saranno elencati nei documenti di epoca successiva: Raga (Dairago), Arcunate (Arconate), Everun (Inveruno), Cugion (Cuggiono), Castellum inferius Paternianum (Padregnano), Trabiga (Turbigo), Nussa (Nosate), Castanum (Castano), Magniaga (Magnago), Bustucavum(Buscate) e Busto (Busto Garolfo). La presenza nel feudo dairaghese di Brunia (Bernate) e Bustarsicium (Busto Arsizio), abitualmente assegnati a pievi diverse, pone qualche interrogativo in merito alla loro reale collocazione. Originale nell’Historischen Archiv della città di Colonia. Trascrizione in Monumenta Germaniae Historica, Diplomata Regum et Imperatorum Germaniae, tomus X, pars II. Il documento è stato pubblicato in ‘Contrade Nostre’, volume V, pp.122-123.
1170 (16 ottobre). Manfredo Visconti console di Milano, insieme con altri consoli suoi colleghi, sentenzia nella lite vertente fra varie persone del casato de Puteobonello di Milano e Trasmondo abate di Chiaravalle in merito a possedimenti in Vicomaggiore. Nella pergamena turbighese del 1150 si dice che i seniores di Turbigo possedevano beni in Vicomaggiore. E in questa pergamena tale proprietà vde ancora la presenza dei Capitaneorum der Turbigo: “Puteobonello vendidit que fuerent mansos duos et si plus in ea venditione inveniantur una cum fructibus ipsarum terrarum asserentes ress ipsas olim eorum feudum ex parte capitaneorum de Turbigo (…).
L’originale della pergamena è conservata in Archivio di Stato di Milano ed è stata pubblicata dal Giulini, dal Riboldi e in C. MANARESI, Gli atti del Comune di Milano fino all’anno MCCXVI, Milano, 1919, pergamena n. LXXVI, p. 113. Oggi Vico Maggiore (così è citato nel Liber Notitiae) si trova in territorio di Lacchiarella e si chiama Villa Maggiore
1185 (11 febbraio apud Regium). L’imperatore Federico concede ai Milanesi- a seguito della Pace di Costanza – tutte le regalie che l’impero aveva nell’arcivescovado di Milano, nei contadi del Seprio, della Martesana, della Bulgaria, di Lecco e di Stazzona, dietro corresponsione annua di £. 300 imperiali, prestato dal camerario dell’imperatore e dai consoli e rappresentanti del comune di Milano il giuramento di osservare la convenzione. Nel testo è citato Padrignianum , come limite estremo – lungo il Ticino – del comitato del Seprio. “Comitatum autem Seprii, in quo superius regalia eis concessimus, sic intelligimus sicut in privilegio nostro distinctum est, scilicet per hos fines: a Lacu Maiori sicut pergit flumen Ticini usque ad Padrignianum, et a Padrigniano usque ad Cerrum de Parabiago, et a Parabiago usque ad Caronnum, at a Carone usque flumen Sevesi, et a Seveso usque ad flumen Trese, et sicut Tresa refluit in predicto Lacu Maiori”. C. MANARESI, Gli atti del Comune di Milano fino all’anno MCCXVI, Milano, 1919, p. 216, pergamena CXLVIII
1190 – I consoli di Novara sentenziano in merito a una vertenza per il prezzo di una casa venduta da Anselmo Bora de Camaro ad Anselmo Pico di Turbigo. G.B.JONIO, Storia di Cameri, p. 76
1198 (28 giugno) – Velate (Varese). La pergamena pubblicata porta il n. 399 sul ‘Regesto di S. Maria di Monte Velate sino all’anno 1200 (Regestum S. Mariae de Monte Vellate)’, pubblicato dall’Istituto Storico Italiano a cura di Cesare Manaresi, Roma, 1937. Si tratta di una pergamena importante per la storia turbighese perché parla di alcuni obblighi che la comunità di Velate aveva nel mantenimento della strada che conduceva al ponte di Turbigo. Singolare che si parli di ”pontem de Turbigo” il che fa pensare che ci fosse un ponte il legno preesistente a quello documentato che fecero costruire i Torriani nel 1274 (citato dal Corio, poi distrutto dai Novaresi e recentemente individuato – il palificato – a valle dell’attuale in acciaio) durante il periodo che ebbero la Signoria di Turbigo. Dicevamo degli obblighi dei “Comuni rusticorum de Velate” il che fa pensare che la strada che conduceva al ponte fosse quella ‘Comum-Novaria’ di romana memoria che dopo avere attraversato Gallarate-Lonate giungesse al passo di Turbigo (oggi si chiama Strada Statale 341 ‘Gallaratese’). Precisamente la pergamena dice:
“Et pro hoc pacto predicti Alabergatus et Cassicius, me Bernardo presente, sstis. Consulibus et vicinis (…) Brunenco de Vellate, quod debitum fecerant vicini et consulles pro trabibus quos conduxerant ad pontem de Turbigo (…).
1203 (4 febbraio in civitate Mediolani). Mirano detto Murigia console di Milano pronuncia sentenza nella lite tra Ottone Vegio della città di Vercelli e Danisio Crivelli milanese per la rifusione di alcune spese. Nell’atto notarile, tra gli altri, è citato un certo ‘Ruinis de Turbigo’. C. MANARESI, Gli atti del Comune di Milano fino all’anno MCCXVI, Milano, 1919, p. 35, pergamena CCLV.
Secolo XII – Petitiones in Castroseprio in loco de conte. Si tratta di una lunga pergamena che mette “in primis castrum de Blandronno est Alcherii et Ferrarii, et Tremonis et Capelli universaliter cum districto et honore et castellantia; et est istud castrum de tribus territoriis, primo de comitibus de Castro Seprio, secundo de Capitaneis de Turbigo, tertio de illis de Comignago, in integrum totum de istis tribus territoriis”. Si citano alcuni diritti feudali che i Capitani di Turbigo, insieme ad altri, avevano sul castello di Biandronno che fu distrutto nel 1161 dal governatore imperiale di Varese nominato da Federico Barbarossa.
La pergamena pubblicata porta il n. 434 sul ‘Regesto di S. Maria di Monte Velate sino all’anno 1200 (Regestum S. Mariae de Monte Vellate)’, pubblicato dall’Istituto Storico Italiano a cura di Cesare Manaresi, Roma, 1937.
L’honor e il districtus erano i due elementi che costituivano la giurisdizione (che dal Trecento si lega alla proprietà), alta giustizia dunque che l’imperatore assegnava a pochissime le famiglie, quasi tutte comitali, per cui possiamo presumere che i conti Corio entrassero nel novero di queste famiglie.
- Scomunica decretata da Cassone Della Torre, Arcivescovo di Milano, nei riguardi di Matteo Visconti e dei suoi figli, rei di gravi soprusi contro i beni arcivescovili posti in vari luoghi della Lombardia, tra i quali Castano. CORIO, Storia di Milano,1646, parte II, pp. 353-355.
FOTO La pergamena del 1150 conservata nell’Archivio di Stato di Milano