Lo volevi proprio vedere un campo profughi? A febbraio in Bosnia non ti hanno fatto passare la frontiera con la scusa del covid? Bene, eccoti accontentato. È né più né meno che una Vincenziana moltiplicata per cento, o anche mille. Dove? Ad Atene, dove sei andato in vacanza (se si può definire vacanza una sfiancata di una settimana sotto il sole a picco a 40 gradi senza mai stare fermo un attimo). A poco più di 4 chilometri da piazza Syntagma c’è un campo profughi. Ma come, un campo profughi in una grande città che, in questo periodo di pseudo ripartenza, si sta riempiendo di turisti? Si, più o meno. Con i potenti mezzi tecnologici ci arrivi. Basta prendere la linea blu e scendi alla fermata di Eleonas. Siamo io e un amico, Pier Gabriel. Non troppo consapevole di quello che andremo a fare. Ma non fa nulla. Scendiamo ad Eleonas ed è il deserto. Atene cambia. Niente siti archeologici, solo tanta merda sparsa per la strada. Montagne di rifiuti in una zona industriale deserta che la calura estiva rende ancor peggio di quello che si potrebbe descrivere. Camminiamo per un chilometro circa. Arriviamo al cancello di ingresso. Fuori ci sono bambini, tanti. Decine e decine di bambini che giocano a pallone. Entriamo ad Eleonas. Giriamo per un po’ tra container minuscoli, tende buttate alla rinfusa e sacchi a pelo. Se leggi qualche reportage ti dicono che Eleonas è un campo modello con tanti volontari ed è così. Ci arrivano quelli che sono approdati sulle isole. Come Bernard, congolese che ha fatto la rotta dalla Turchia. Parliamo con lui ed è felice di raccontare quel che ha vissuto sulla sua pelle. “La vita ad Eleonas è dura – dice – si vive giorno per giorno. Ma la cosa più brutta è non sapere oggi quello che accadrà domani”. Bernard ha 32 anni, parla un ottimo inglese ed è approdato all’isola di Lesbo, campo profughi di Moria. Lì è rimasto per un anno e due mesi. Da settembre dello scorso anno si trova ad Atene e chissà dove sarà tra un anno. Troviamo un gabbiotto con dentro una persona e chiediamo. Esce un tizio che comincia a gridare in lingua greca. Talmente forte che lo si sente a centinaia di metri di distanza. Ovviamente non capiamo nulla di quello che dice, ma intuiamo che la nostra permanenza all’interno di un campo profughi non è gradita. Gli spiego in inglese che sono un giornalista e vorrei vedere. Non è una bella risposta da dare in situazioni simili. I giornalisti sono la peste e il governo greco, per evitare intrusioni, ha intensificato le misure di sicurezza nei campi profughi. Mura alte e imperscrutabili. Possibile utilizzo di droni e telecamere ovunque. Una donna comincia a telefonare. Meglio andare, quel che dovevamo vedere l’abbiamo visto. Quel che dovevamo sentire l’abbiamo sentito. Mi sarebbe piaciuto sapere come cavolo hanno gestito la pandemia in quel posto. Usciamo. Salutiamo Bernard. Incontriamo un altro giovane del Congo che ci mostra un referto che certifica le sue condizioni psicologiche aggravatesi durante la permanenza ad Eleonas. E una donna pakistana si avvia all’ingresso con i suoi due bimbi. Sui muri scritte sulla libertà dei profughi e un cartello che denuncia le condizioni disumane di alcuni centri. È firmato Viktoria Square, dal nome della piazza di Atene dove si radunano i migranti senza dimora. La Grecia, negli ultimi anni, ha concesso asilo a migliaia di richiedenti. È un paese che fatica e la mattina presto c’è l’assalto ai cassoni dell’immondizia per vedere di racimolare qualcosa. Mentre parliamo con alcuni ospiti (termine che non si può leggere, ma non me ne viene un altro) un tizio nascosto dietro un camion ci spia. Si ci sta proprio spiando. Ci avviamo verso la fermata della metropolitana, lungo lo stradone deserto in mezzo a montagne di rifiuti. Lui è dietro che ci segue. Possibile che ci stia proprio seguendo? A pochi metri dalla fermata guardo indietro e non c’è più. Meno male. Entriamo nel vagone della metro e lui è dietro di noi. Cosa facciamo? Non lo sappiamo. Tentiamo. Scendiamo a Syntagma, pieno centro. Così facciamo. Ci mischiamo tra i turisti perché lo siamo anche noi. Non lo vediamo più.