TURBIGO. Succede. Stamattina due belle ragazze entrano nella ‘Caffetteria di Turbigo’ e sono subito assalite dagli sguardi degli uomini seduti a bere il caffè mattutino. Una vecchia signora, anche lei ammaliata dalla bellezza delle due giovani donne, chiede:
- “Siete di Turbigo?”
- “No di Vizzola Ticino, ma veniamo volentieri perché qui è nata nostra madre e il nostro nonno (Ermasi Enea, ndr) lavorava nella centrale termoelettrica”.
C’è sempre qualcuno in giro che si ricorda dell’età dell’oro della centrale, quando ci lavoravano cinquecento persone: un mondo! In quel momento la ‘Bice’, una figura quasi istituzionale di quella che fu la centrale Enel, entra nel bar e subito ricorda la mamma (Natalie?) delle due belle ragazze e chiede loro di portarle i saluti da Turbigo.
Quando si è vissuto per tanti anni in un paese c’è sempre qualcuno che ricorda, ci sono le tracce, qualcosa che fa sentire a casa anche se non abiti più lì da decenni. Era già successo settimana scorsa con la signora Galimberti che adesso abita a Mezzomerico e, prima ancora, con un famoso pediatra, Giuseppe Ferrari (aveva frequentato le elementari in paese) che era ritornato a rivedere il muro realizzato con ciottoli dell’ex convento degli Agostiniani Scalzi (Via Volta).
I luoghi contano più delle persone, hanno una capacità evocativa forte, come nel caso delle due ‘belle ragazze’ che non sono andate a Castano a far colazione, ma sono arrivate nel nostro paese.
Il caso odierno dove Turbigo ha richiamato una tale piacevole presenza, fa pendant con un altro caso che vede protagonista il castello di Turbigo.
Un libro “Memorie antiche di Milano”, pubblicato nel 1650, di un tal Placido Puccinelli “indagatore delle antichità venerande” – segnalatoci da Luigi Scotti – si parla del ritrovamento di una lapide della gens Cassia (romana) nel castello di Turbigo.
E’ sempre il toponimo del luogo il protagonista delle storie antiche, il filo rosso che bisogna seguire per arrivare a chi ha vissuto il territorio prima di noi.