Una notizia tanto assurda quanto pericolosa. In un documento della Commissione europea – il cui titolo fa già intuire tutto: “Linee guida per una comunicazione inclusiva” – si invita a non usare, per chi lavora negli uffici dell’UE, alcuni termini giudicati troppo discriminatori, come “Natale” o “Maria e Giovanni”, perché poco sensibili al fatto che “le persone hanno differenti tradizioni religiose” e “non tutte sono cristiane”. Farebbe sorridere, se non fosse altrettanto grave, il suggerimento a evitare il classico “Signore e signori” per un più generico “Cari colleghi”, casomai qualcuno non si riconoscesse nel genere maschile e femminile.
Con la pretesa dell’inclusione, si arriva al suo esatto contrario, l’esclusione: via tutto quello che ha una identità, una radice, una sua propria unicità. Un tentativo impossibile – perché l’essere umano “appartiene” per sua natura – e purtroppo drammatico. Omologare porta sempre con sé una volontà di controllo e, forse, come scrive Avvenire oggi, dispotica. Siamo figli della tradizione cristiana, le dobbiamo molto, forse tutto. Una tradizione – questa sì – davvero inclusiva