TURBIGO. Non erano in tanti i turbighesi quando – la fine dello Stato di Milano con la morte dell’ultimo Sforza – fece sì che il nostro territorio diventasse parte del feudo imperiale di Carlo V. Il manoscritto del 1537 (Archivio di Stato di Milano, fondo Censo) elenca i ventotto fuochi (famiglie) che, moltiplicati per un numero compreso tra quattro a sette, porta la popolazione vicina ai duecento abitanti. Il lavoro nei campi di braccianti e massari era l’attività prevalente della maggior parte delle famiglie che lavorano terreni di proprietà delle famiglie nobili. Nella comunità era presente un Console, un Fattore, mentre altre attività riguardavano artigiani e bottegai. C’erano: un Becaro, due Osti, un Molinaro e un Maestro da legname. C’erano anche barcaioli e naviroli impegnati a trasportare le merci sul Naviglio Grande.
Alla fine del Seicento i ‘fuochi’ erano diventati un centinaio, mente in occasione del Catasto Teresiano del 1722 si contano 641 abitanti. Le abitazioni erano povere, poche le case ‘murate e cupate’, la maggior parte con tetto di paglia e, per entrare in casa, spesso nei documenti è indicata l’esistenza di tre scalini, ancora oggi esistenti nel tratto della Via Roma, davanti all’entrata del palazzo de Cristoforis.