GALLIATE. Il professor Giancarlo Andenna, è certamente il medievalista che meglio conosce la fetta di territorio lambita dal fiume Ticino e anche i motivi profondi che ne segnarono la storia: dalla costruzione di porti e di ponti, ma anche del Naviglio Grande. Nonostante gli ottant’anni e qualche acciacco, domenica scorsa a Galliate ha illustrato i motivi che portarono allo scavo del Naviglio Grande in territorio lombardo. Ha premesso che fin dai Celti il Ticino era l’asse fondamentale per i commerci, una ‘autostrada’ navigabile che permetteva il transito delle merci sul Ticino (imbarcate a Bellinzona) che dal passo del Lucomagno (il S. Gottardo era ancora chiuso) scendevano lungo il fiume fino a Pavia che non a caso era la capitale dei Longobardi:
“Fu il potente arcivescovo di Milano che mal sopportava che tutti i commerci provenienti dai Paesi dei laghi arrivassero a Pavia per cui pensò bene di realizzare un by-pass che li portasse a Milano, al fine di controllare il traffico mercantile. Da qui lo scavo del Naviglio e la fine dell’età dell’oro di Pavia, mentre Milano ebbe una grande fase di espansione”.
Domenica pomeriggio, nella sala neogotica del Castello un centinaio di persone ha ascoltato attentamente quanto il professore emerito della ‘Cattolica’ ha illustrato in merito all’opportunità storica persa da Galliate nella seconda metà del Quattrocento, nel senso che la Contea istituita nel 1450 abortì sul nascere.
LA STORIA. Il professore, prima di affrontare il tema della ‘contea galliatese’, ha voluto ricordare la figura e l’opera (Il Bestiario ed Erbario popolare del Medio Ticino è un capolavoro!) del defunto professore Belletti, appassionato linguista, uno dei fondatori del ‘Gruppo Dialettale’ che ha organizzato l’incontro del 15 maggio 2022 (nel 50° di fondazione), il quale disse che tracce del dialetto galliatese riposavano a ‘Novara di Sicilia’ dove mille anni fa emigrarono dei galliatesi. Sembrava una ‘allucinazione’, ma con il passare del tempo – ha detto Andenna – l’intuizione risultò plausibile.
Poi la storia. Il 6 dicembre 1448 l’attuale castello non esisteva e fu allora che gli uomini di Galliate decisero di accettare la sottomissione al duca di Milano, Francesco Sforza, il quale nel 1450 nominò conte di Galliate Ugolino Crivelli liberandolo così dai vincoli novaresi. Lo stemma della contea era il seguente: “Un gallo d’oro con un diamante al collo in campo azzurro, nella parte inferiore vi è un fiume e il gallo pone le zampe sulla gramigna che nasce dalla ghiaia”.
Dopo un ventennio di potere i Crivelli si scontrarono con il figlio di Francesco, Galeazzo Maria Sforza, persero la contea e Galliate finì nuovamente sotto Novara. Fu proprio Galeazzo che nel 1475 ordinò all’architetto ducale Ambrogio Ferrari di ristrutturare il vecchio castrum della comunità che fu in seguito trasformato in fortezza da Danese Mainerio che al tempo era intento alla costruzione del castello di Novara. Tra il 1470 e il 1476 il Duca venne a cacciare nella Valle del Ticino. Fu allora che decise di costruire il Castello di Galliate dove desiderava risiedere con la corte, anche perché il porto sul Ticino avrebbe permesso comodamente l’arrivo di merci, informazioni e uomini. Però il futuro roseo di Galliate si spense l’anno successivo con l’uccisione del Duca nel Natale del 1476.
I GIARDINI DELLA MARCHESA. Roberto Cardano, che con Gianni Belletti ha curato progetto editoriale e impaginazione del volumetto, ha trattato un aspetto poco noto del castello di Galliate, quello delle sue aree a verde in età barocca (vedere foto pubblicate).
FOTO IN EVIDENZA Il professor Giancarlo Andenna; seguono alcune slide dell’incontro riguardanti i ‘Giardini della marchesa Adobrandini’