L’Italia è una nazione povera, più povera di tutte le altre nazioni europee con cui fu e sarà in gara.
Così scriveva l’ingegner Angelo Omodeo a Filippo Turati il 7 giugno 1921 nel periodo in cui i socialisti al governo vorrebbero ‘Rifare l’Italia’. Omodeo descrive quella che fu l’Italia d’inizio Novecento e accenna a tutti i mali ancora oggi esistenti, come la burocrazia!
“Popolosissima fino alla metà dell’Ottocento, l’Italia dopo la sua Unità è ancora rapidamente aumentata di abitanti, direi per…forza d’inerzia, senza avere contemporaneamente un sufficiente e proporzionale sviluppo, almeno in confronto agli altri Paesi (Germania, Inghilterra, Francia), non solo, ma senza avere in sé le condizioni naturali per rendere possibile – allo stato presente della tecnica e della economia – un tale sviluppo. La ricchezza è data dalla terra e dalle miniere. L’Italia non ha miniere ed ha poca terra. L’Italia quindi è povera e non può alimentare la popolazione che contiene. Lo poteva, miseramente e fino ad un certo punto, in un periodo di economia chiusa. Ma apertesi le frontiere, aumentati i bisogni, l’equilibrio si è rotto: la guerra lo ha poi definitivamente distrutto!
FERRO E CARBONE.
Limitiamo l’esame al carbone e al ferro, che sono oggi i fondamenti primi di gran parte delle industrie, e ti prego di consultare aa questo scopo, il bel libro del Mortara che ti ho procurato.
La Germania senza la Slesia ha riserve per duecento miliardi di tonnellate di carbone, con l’Alta Slesia per 400 miliardi. Il Regno Unito ne ha 299 miliardi, 60 e forse molte di più la Russia, altrettante l’ex impero Austro Ungarico; la Francia quaranta miliardi, dieci il Belgio, nove la Spagna, quattro l’Olanda. Infinitamente di più gli Stati Uniti senza considerare le colonie e le regioni inesplorate. L’Italia sembra che ne possieda 0,3 miliardi!
Altrettanto dicasi per il ferro. Si parla di giacimenti italici per quaranta milioni di tonnellate, quando gli Stati Uniti ne producono cinquanta milioni in un solo anno ed hanno riserve per 2400 milioni, di fronte a 2000 milioni della Francia, a 800 della Svezia, a 400 della Spagna e via dicendo.
Ad una nazione civile oggi sono necessari ferro e carbone e all’Italia occorrono oltre un milione di tonnellate annue del primo e dodici milioni circa del secondo, il che crea e creerà, se non si adottano provvidenze opportune, una ragione continua di squilibrio della bilancia economica della nazione.
DIFFICILE ALIMENTARE QUARANTA MILIONI DI ABITANTI!
E’ indubbio che lo sviluppo agrario, specialmente della Valle Padana, è stato negli ultimi anni, magnifico. Molto si è fatto anche nelle altre regioni d’Italia, che forti e ricche industrie derivate (più che tutte quelle della seta) sono sorte, che molta ricchezza potenziale trascurata si può mettere ancora in valore (e ciò anche nel campo industriale), ma è pur certo, allo stato attuale delle cose, nel prossimo decennio, questo nostro paese non avrà la possibilità di alimentare i quaranta milioni di abitanti.
BILANCIO ECONOMICO
Già prima della guerra, la bilancia economica del Paese aveva potuto trovare l’equilibrio attraverso l’emigrazione salita vertiginosamente negli ultimi anni (prima della guerra c’erano all’estero sei milioni di italiani). Ma la guerra ha reso la situazione più tragica, catastrofica, prima con il ritorno in Patria degli emigrati, poi debiti enormi contratti con lo snaturamento delle industrie nazionali, col fatto che le importazioni si riferirono a merci di prima necessità non diminuibili e le esportazioni a merci di lusso eliminabili…Per tutta una serie anche di altre cause lo sbilancio annuo attuale negli scambi internazionali si può ritenere di 7-8 miliardi.
BILANCIO DELLO STATO
Il disavanzo annuo è di 15 miliardi e più. Enormemente gravoso è l’onere dello Stato per la retribuzione dei suoi impiegati, saliti in questi ultimi anni da 350 a 500 mila (oggi sono più di 3 milioni, ndr). Gli impieghi statali, quelli provinciali e comunali hanno costituito per lungo tempo l’ideale di ogni giovane laureato o non, della borghesia e della classe media italiana. Dati i modesti bisogni del tempo e la nessun’altra possibilità di trovare altrove un lavoro non manuale, modeste erano pure le pretese, molta la concorrenza e però si poteva largheggiare nei posti tanto più che la distribuzione degli impiegati diventò più tardi il premio più ambito delle clientele, ed il mezzo più efficace per vincere le elezioni. Si venne così a formare una organizzazione statale faragginosa che il decadere dei costumi politici e della primitiva onestà piemontese rese ancora più ingombrante, lenta, degenere, parassitaria, fine a se stessa: personale che lavori pure poco, malissimo pagato, ma in compenso numeroso. Non appena al Nord iniziò lo sviluppo industriale, la gioventù della borghesia disertò gli impieghi statali, ma i vuoti furono riempiti dal Mezzogiorno e dalle Isole, e così si continuò fino al 1914 (…) Non si ha una pratica che non richieda controlli, visioni, giri e rigiri per uffici diversi, tutti inutili con un lavoro decuplo del necessario ed un impiego di tempo cento volte maggiore (…) E’ necessaria una riforma centrale, fondamentale, se si vuole sanare il bilancio dello Stato: dimezzare il personale e raddoppiare il suo rendimento