E’ il 7 giugno 1921. L’ingegner Angelo Omodeo, luminare nel campo degli impianti idroelettrici, scrive all’amico Filippo Turati, socialista, candidato ad assumere la carica di ministro dei LL.PP. nel governo Facta (1922). Una lunga lettera, inedita, della quale abbiamo già pubblicato alcuni capitoli sul tema del ‘Rifare l’Italia’ (ai quali aggiungiamo il seguente) proprio per l’attualità dei problemi posti: “Il personale dello Stato è troppo oneroso e scarsamente qualificato. E’ necessario raddoppiarne il rendimento”. “L’emigrazione ci aiuta a combattere la disoccupazione”.
“DISOCCUPAZIONE. La causa fondamentale, originaria, della disoccupazione è quella della sovrabbondanza di popolazione. L’emigrazione prima della guerra (650mila emigranti in media ogni anno) costituiva una valvola di sicurezza in quanto tendeva a ristabilire un equilibrio in due modi: 1 – colle rimesse degli emigranti per quanto riguarda il bilancio annuo della Nazione; 2 – con la diminuzione della sovrabbondanza della popolazione (1,5 milioni di italiani, in dieci anni, si sono fermati definitivamente all’estero).
Ma la guerra ha richiamato gran parte degli emigrati in Italia, ed a guerra finita, il ritorno all’estero è stato ostacolato da difficoltà politiche ed economiche. Gli emigrati che nel 1913 furono 873mila erano diventati 28mila nel 1918; risaliti a 230mila nel 1919 e circa 400mila nel 1920, ma il trend è in discesa.
La guerra ha interrotto le correnti migratorie e siamo in presenza di un rigurgito pericoloso e doloroso di mano d’opera, di popolazione sovrabbondante in confronto al lavoro disponibile, ed agli stessi mezzi di alimentazione di cui dispone il Paese.
La crisi industriale ed economica che imperversa in tutti i paesi civili, i quali erano la meta della nostra emigrazione, sarà per un lungo periodo un ostacolo insormontabile. L’industria italiana si può schematizzare in due parti: ‘industria naturale’ sorta perché necessaria o per sfruttare le risorse del Paese e quell’altra parassitaria. Nell’anteguerra prevaleva la prima (essenzialmente industrie della seta e idroelettrica), mentre nel dopoguerra ha preso il sopravvento la seconda, innaturale, borsistica. Ciò che è sano, come l’idroelettrico, resiste, vive, si difende e in questa lotta migliora e prepara l’avvenire, ciò che invece è marcio sprofonda. Ma il precipitare delle industrie che non hanno più ragione di esistere butta sul lastrico decine di migliaia di operai.
POVERTA’ DI RICCHEZZE NATURALI, SOVRABBONDANZA DI POPOLAZIONE. Dopo avere invano atteso di essere da te chiamato, come semplice collaboratore, per la stesura di un più completo e approfondito programma, ti metto in guardia sul complesso problema in cui mi sento più competente per averci dedicato tutta la mia vita.
Come ho già detto, l’Italia è un paese povero di ricchezze naturali, ma sono sfruttate nel miglior modo? Direi di no. Colla fame di terra esistente, esiste una vasta e notevolissima zona di terreni – specialmente nell’Italia centrale e meridionale – abbandonati, incolti, fra i più ricchi di humus, di azoto, di sole, infestati e resi inabitabili dalla malaria, dalle inondazioni periodiche, sfruttati peggio del passato, giacché sembra che floride e ricche fossero al tempo dei Vosgi le ‘Paludi Pontine’ oggi miniera sepolta di ricchezza agraria, abbandonata e mortifera”.
3 – continua