TURBIGO-ROBECCHETTO – Pubblichiamo parte della relazione che la Deputazione Comunale turbighese scrisse in occasione dell’inondazione dell’Arno del 1836, la quale percorse la direttiva Cascina Malpaga-Ex Casello ferroviario per poi scendere lungo la via XXV aprile, via Roma:
“Una straordinaria calamità venne in questi giorni a spargere la desolazione e la rovina sul nostro paese. Nella sera della scorsa domenica 6 Marzo cominciossi ad allagare notevolmente la parte superiore di Turbigo: ma l’acqua ivi radunata, sebbene più abbondevole che da gran tempo non avvenisse, parea cosa del tutto innocua, siccome l’effetto momentaneo delle dirotte piogge cadute in quel giorno e nei precedenti combinate colle nevi sciolte a poco raggio di lontananza.
Verso le ore due dopo la mezzanotte alcuni osservarono che si era determinata una corrente nel mezzo del Paese abbastanza alta per invadere i piani terreni delle case e capace di arrecare dei danni alle proprietà degli abitanti e non ebbero fondamento di progredire oltre nel sospettare più gravi danni.
Ma quella lieve inondazione era il principio di un terribile disastro. Alla mattina del lunedì il torrente Arno crebbe sì forte e divenne tanto impetuoso che Turbigo apparve tutto pieno di pericolo e di costernazione. L’incremento delle acque fu sì celere e l’urto sì rabbioso che verso le ore sette antimeridiane dello stesso lunedì le case cominciarono a rovinare. La prima cura dell’Autorità locale fu quella di mettere in salvo le persone e nelle sue mire concorse tosto una mano di generosi che, animati dei sentimenti di una eroica filantropia, posero a manifesto ripudio la propria vita onde riuscire nella impresa altrettanto difficile quanto pia. Se non che ad onta del buon volere non fu possibile ad alcuno accedere al luogo atteso l’impeto del fiume e la mancanza di mezzi di trasporto. Non si ebbe pertanto riguardo nè alle distanze, né alla fatica e con una prestezza appena credibile si trasportarono, quasi unicamente a forza di braccia, vari battelli dal Naviglio Grande e dal Ticino. Con tutto questo non vi era modo di risalire la corrente; e per dare un’idea della violenza di questa basterà dire che otto cavalli attaccati ad un solo battello non ebbero forza di vincerla e, dopo un disperato tentativo, furono travolti nell’acque cogli uomini che li guidavano (…)
Ottenuto il principalissimo scopo di mettere in stato di sicurezza la popolazione, si pensò di togliere la funesta causa dello sterminio e, per buona sorte si conobbe che, superiormente al paese si poteva con uno scavo indirizzare le acque nelle campagne. Acciò peraltro si richiedevano molte braccia e per la maggior parte degli abitanti di Turbigo non vi poterono concorrere per essere miserabilmente occupati o nel salvare la propria famiglia, o nel prodigare efficaci soccorsi a che ne aveva estremo bisogno, cosicchè per quel giorno ad onta che molti si dichiarassero pronti al travaglio, poco o nulla si è potuto intraprendere a motivo anche della sopraggiunta oscurità della notte.
Alla mattina del martedì, eccitati dal suono delle campane e dalla fama che si diffondeva accorsero dal vicino Robecchetto circa novanta contadini alla testa dei quali c’era il signor Baldassare Gennari, agente dell’Eccellentissima Casa Fagnani al quale in gran parte si deve la riuscita di quella tanto malagevole operazione. Muniti di idonei strumenti e congiuntisi a quei di Turbigo, sotto uno screpito di pioggia lavorarono di concerto e con mirabile ordine fino a notte avanzata nel condurne il cavo diversore (…)
Prima di dar fine a questo rapporto, la giustizia ed un sacro dovere di riconoscenza esigono che si faccia menzione di quelle benemerite persone che qui si distinsero nel largheggiare ogni specie di soccorso durante la narrata calamità: Il M.R. parroco di Turbigo, don Cesare Radaelli; l’egregio signor Paolo Vigo, Ricevitore ed il nobile Freud Bolza controllore del di Finanza; Il signor Baldassare Gennari, già di sopra nominato, qualunque elogio se ne facesse sarebbe inferiore al merito. Giuseppe Cormani di Turbigo, con mirabile prestanza trasportò dal Naviglio Grande due battelli da carico di sua proprietà. Ne fece affondar uno per appoggiarvi l’argine ed adoperò l’altro per trasportare persone ed effetti. Egli non cessò mai di prestare il suo volonteroso servizio con intrepidezza non comune. Ajroldi Giò di Robecchetto nella sua qualità di falegname ha dato prova della sua cognizione vera e di straordinario impegno specialmente nella costruzione delle barricate. Gajera Benedetto di Robecchetto e Cesare Villa mastro muratore parimenti di Robecchetto, ambedue lavorarono indefessamente e con estremo coraggio nel caso di versare e nella formazione dell’obice. Il sig. Gio’ Bussola, il sig. Gio’ Genè, il sig. Giuseppe Bonomi, il sig. Gaetano Pozzi, il sig. Pietro Croce, Carlo Bonomi, Carlo Carimati, barcajoli di Turbigo in generale, ed in specie le Guardie di Finanza (…) parte immerse nell’acqua, parte a cavallo, parte nei battelli, posero a cimento la propria vita onde trarre a salvezza gli individui pericolanti e le robe”.
6 marzo 1836: L’inondazione dell’Arno del territorio turbighese e il contributo salvifico dei contadini robecchettesi
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