VERBANIA- Domenica sera sul tardi ero solo in studio per una di quelle perizie rognose che impongono di avere intorno solo il silenzio. Me lo avevano già detto altri condomini: “Dottore, stia attento, qui c’è qualcuno che dorme nell’androne del palazzo, bisogna sempre fare attenzione e chiudere tutto!”. Suonano, vado ad aprire e ho capito subito che era “lui”. Anziano, malmesso, con quell’odore da barbone che sa un pò di sudore e un pò di vino, giaccone strappato e una berretta blu in testa. “Scusi, mi fa entrare? Io stasera dormirei qui, sul pianerottolo tiepido della cantina vicino alla caldaia, ma stia tranquillo che non disturbo nessuno e domani mattina vado via presto…”. Solo davanti a una fetta di panettone e un (mezzo) bicchiere di vino è venuta fuori tutta la storia di Giovanbattista M. (che ho controllato). Una storia un pò vera e – forse – un pò di fantasia, tipica di chi non c’è più completamente con la testa, ma che non è ancora matto del tutto e trasforma i fatti con l’immaginazione.
73 anni, solo, senza casa, Giovanbattista ha il letto numero 5 in un ricovero per anziani sulle pendici di Verbania che in zona non gode di buona fama, è saltuariamente assistito dai servizi sociali e non ha fissa dimora. “Ma io là dentro non riesco a starci, soffoco, e allora – visto che non possono obbligarmi a restare – se non piove alla mattina esco e me ne vado in giro, ma la domenica non ho poi la corriera per tornare e, se non mi danno un passaggio, mi arrangio e dormo dove riesco.” Alla fine l’ho convinto a farsi riaccompagnare su al ricovero (che pur ufficialmente chiamano RSA) e – nella dozzina di chilometri di strada in salita – è uscito tutto il film, con una nota di fondo che si coglieva subito: la solitudine.
Una figlia lontana, niente più affetti, inserito in una rete di assistenza che in una piccola città ti permette comunque ancora di sopravvivere, ma dato di solito un aiuto senz’anima e senza calore nel moltiplicarsi delle necessità.
Ti viene logico riflettere su tutto quello che abbiamo e che troppo spesso diamo per scontato, ma che invece non è per tutti e comunque – riflettendo – capisci che forse il senso vero del Natale sarebbe dedicare almeno un’ora ai Giovanbattista di cui è pieno il mondo. Un’ora, un’ora sola di ascolto, di condivisione stando vicino a una persona sola, di solito anziana, conterebbe più del fare o ricevere quegli auguri che sanno sempre di finto o di scontato. Per favore, quindi, abbiate il coraggio di condividere, ascoltare, magari aiutare…così sarà davvero un buon Natale per ciascuno di voi.
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