Non sappiamo precisamente chi fosse la ‘Rosetta’. Abbiamo trovato il suo scritto – datato 23 maggio 1995 – in un vecchio libro che ci è stato regalato recentemente da un turbighese abitante da tempo a Torino. “Ricordi e nostalgia della vecchia Turbigo – Via Novara n. 6” è il titolo di un fascicoletto di sei pagine griffate, scritte fitte fitte. Si tratta di memorie del paese nel Novecento che ci hanno subito intrigato e convinti come siamo che – se le ha scritte – è perché voleva che fossero tramandate. Noi lo facciamo anche perché abbiamo attraversato gli stessi luoghi che sono più importanti delle persone che li hanno vissuti.
IL MUNICIPIO, LE SCUOLE…“Finita la via Allea, a sinistra c’è il Viale che porta alla stazione ferroviaria; c’erano le scuole elementari, poi si girava l’angolo ed ecco la mia via Novara, come la ricordo io.
A sinistra il palazzo del Municipio; un cancello, qualche portoncino; a destra un bel cortile: era la casa del Ciacera c’era anche il forno, in quel negozio, molto spesso cambiavano prestinaio; mi ricordo però uno degli ultimi, perché aveva una figlia che frequentava la scuola con me, si chiamava Annunciata Zanzottera.
Torniamo sul lato di sinistra, dove c’era un salone, fuori ai lati della porta d’ingresso due lampade che alla sera, quando erano accese, sembrava festa. Sul vetro della porta d’entrata c’era la scritta ‘Caffè Ristorante’ ed era gestito prima dal signor Carlo, detto Councon e da sua moglie signora Savina. In seguito fu gestito dalla signora Domenica e suo marito Giulio Brioschi.
Subito dopo quella bella porta luminosa c’era un piccolo negozio di ‘Sale e Tabacchi’ gestito dalla signora Carlotta e Pepein Scavizzi”.
LA CORTE FABBRICA…Eccoci di nuovo sul lato destro, un grandissimo caseggiato a tre piani che si chiamava ‘La Fabbrica’, ai lati di questo cortile c’erano le stalle che servivano per mucche, cavalli, maiali, ogni sorta di animali che servivano ai contadini; sopra alle stalle i fienili. Entrando dal cancello che dava sulla strada appariva la facciata di questo grande caseggiato. In mezzo al cortile c’era il pozzo molto bello, aveva come un parapetto a cupola in ferro battuto, tutto a riccioli e curve sapienti, la carrucola con la fune che serviva per attaccare il secchio e attingere l’acqua. Intorno a questo pozzo c’erano delle vasche di sasso che i contadini riempivano d’acqua per abbeverare gli animali. C’erano anche le letamaie, non si vedevano perché erano scavate una vicina all’altra, tre al lato destro del cancello e tre al lato sinistro. Non si vedevano, ma si sentivano e alle volte qualcuno ci cascava.
IL CINEMA ‘IRIS’…“E torniamo sulla sinistra della Via Novara (oggi Via Roma). Dopo il ‘Caffè Ristorante’ (Balot’s, oggi) e il tabacchino c’era come una strada cieca, il fondo fondo c’era un grande locale che non serviva granché allora. Bonomi Giacomo ci fece un salone, che fu battezzato ‘Cinema Iris’. Non mi ricordo bene, ma credo fosse il 1918-19 e quello fu il primo Cinema di Turbigo.
Ecco la bottega del falegname, quello che faceva le botti, le brente, le carriole, faceva e riparava i carretti che servivano ai contadini per i lavori nei campi. Il cognome era Cavaiani, il nome non lo ricordo, ma tutti lo chiamavano, senza offesa, con Pischen, sua moglie era la sciura Palmira, la levatrice del Comune, come si diceva allora la Comà che ha fatto nascere anche me il 9 febbraio 1912. Non la ricordo bene, avevo 3 o 4 anni quando la sciura Gaetana venne a fare la Cumà in paese perché la sciura Palmira, molto giovane ancora, dopo una brevissima malattia era morta”.
L’UFFICIO POSTALE…“Dopo la bottega del Pischen ecco quella del Gaetan barbé e sua moglie la Pina Bilet, avevano 5 o 6 figli, ma non sto a nominarli sarebbe troppo lunga la storia. Ecco che sono arrivata alla bottega che frequentavo volentieri: quella della Maria del Lùcia che era il prestinaio, ma oltre al pane in quel botteghino c’era cioccolato, anisit, tiramola, millagust e tante altre golosità.
Ed eccoci al portone centrale dal quale si entrava in un cortile che non so descriverlo: quando giocavo con la mia amica Lisa, il Ciech Bilet, loro vi abitavano ed erano pratici in quel labirinto, di quei dentri e fuori dai rigagnoli, io non li seguivo, avevo paura.
Subito dopo il portone ecco il negozietto di Nestina Langé, passamaneria, pizzi, fazzoletti…poi la casa del Baldissar (Baldassare Pedroli) che faceva il calzolaio e con sua moglie Virginia gestiva l’ufficio postale. Avevano tre figli: Giuseppina, Giovanni e Clelia che voleva mangiare solo la minestra della mamma Pina. Mio padre che era il postino del paese per il suo lavoro doveva dipendere dall’Ufficio Postale, così le due famiglie erano abbastanza unite: mia mamma e Virginia erano anche confidenziali.
Dopo l’Ufficio Postale ecco la Tugnela Ramola, la sua bottega di salumeria, vendita di vino e una piccola ‘Osteria della Posta’. Poi il portone che dava nel cortile in cui abitava il Meta e la moglie Rosetta, la figlia Licia e altri ancora che non ricordo così bene”.
IL MIO CORTILE DI VIA NOVARA, 6…“Ora però torno sul lato destro della Via Novara, al numero 6, il mio cortile. Chissà se riesco a descriverlo bene come lo vedo io nei miei ricordi. Il portone era l’unico accesso che ci permetteva di entrare nel cortile, però le mura di questo caseggiato non erano a filo della strada, erano in dentro di 4 o 5 metri o più e in quello spazio c’erano quattro gelsi (i muron) due a destra e due a sinistra del portone, quelli di sinistra servivano al faré al Tano faré perché oltre al fabbro faceva anche il maniscalco, metteva i ferri ai buoi che i contadini facevano lavorare nei campi, ferrava i cavalli e asinelli e per fare questo tagliava e bruciava lo zoccolo delle bestie. Era molto bravo il Tano faré ma anche i suoi figli lavoravano con lui. Io li vedevo perché avevo l’abitudine di sedermi su uno di quei sassoni che stavano ai lati del portone e servivano da sedile, uno era quasi sempre occupato da me. Quando si entrava dal portone a sinistra ci abitava la mia famiglia e quella di mio zio Giovanni. A destra vi abitò per diversi anni Gep Ranzan (Giuseppe Ranzani) lui e i suoi figli Guido, Togn e Mario facevano i pescatori di sassi bianchi del Ticino, lavoro che allora era molto redditizio e per questo lavoro occorrevano cavalli e carri. Il mio cortile era molto grande: in mezzo al cortile ci stavano 4 gelsi a distanza ben regolata e i ragazzi più grandi giocavano al pallone, a ‘Bandera’, a ‘Lemù’. Nel mio cortile venivano tanti ragazzi, amici dei miei fratelli e dei miei cugini. In tutta la Via Novara era l’unico così spazioso, qualche volta però la mamma o mio zio Giovanni perdevano la pazienza e allora! Però la tregua durava poco, anche se pioveva non ci si bagnava perché in tutta la larghezza dell’abitato c’era un gran porticato largo forse 5 metri e noi quando pioveva o nevicava si stava là fuori a vedere quanta acqua o neve cadeva dal cielo. Potevano giocare come volevano perché c’era una bella altalena: l’avevano fatta i miei fratelli per i più piccoli: la più piccola di tutta la combriccola ero io, intrigante, sempre a dar fastidio ai grandi”
DON LUIGI DE CRISTOFORIS…“Dal mio cortile, torniamo sulla strada. Dopo l’officina del fabbro veniva il ‘Bar bottiglieria’. Nel salone d’entrata c’era uno specchio che occupava quasi tutta la parete. Su questo specchio era dipinto un tralcio di rose: sembravano vere e quando mia mamma mi mandava a fare qualche compera ci andavo con piacere, proprio per guardare quelle magnifiche rose sullo specchio. (Naturalmente ho cercato, mentre descrivevo questo salone di rivivere la meraviglia che mi faceva quel ramo di rose così appiccicate allo specchio: ci sono riuscita perché, mentre le descrivevo io le vedevo!).
Dopo il ‘Caffè Sport’ o ‘Bar bottiglieria’, di proprietà dei Ramola, ecco che la strada si restringe e arriva il forno della Teresa e del Vermondo: ricordo le loro figlie Annetta e Teresa che vestivano sempre elegantemente.
Poi ecco la cartoleria Gasloli aperta solamente al sabato e mezza giornata alla domenica. Subito dopo la cartoleria una bella casetta ben fatta, io direi anche elegante (attualmente è il Panificio Bove, ndr). Era la casa della sciura Amalia, la maestra, molto importante, molto autoritaria, molto anche voluminosa, era una Dama della Croce Rossa. Era l’amica del nobile Don Luigi de Cristoforis dal quale aveva avuto in regalo la bella casetta e anche un f. (queste cose le dicevano a denti stretti i grandi, ma anche i bambini di allora erano intelligenti e malignetti e capivano anche quello che i grandi non volevano che capissero).
Ho conosciuto Don Luis come pure Donna Maria sua moglie: era bellissima e anche Lui, Don Luis, era un bell’uomo, con barba ben curata, due bei baffoni rivolti all’insù, come li aveva mio zio Giovanni”.
LA BOTTEGA DEL GUGLIELMO…“Ora torno al centro di Via Novara sul lato sinistro. Dirimpetto all’officina del Tano faré ecco la bottega della Caterina del Guglielmo, frutta, verdura e tanti figli. Guglielmo, il marito era un tipo irascibile (…) e mia mamma quando sentiva che stavano litigando attraversava la strada, andava in quella bottega e cercava di calmarli, ma non sempre ci riusciva.
Poi ecco la famiglia Cavaiani, il Pin Rusin faceva il sarto e barbiere; poi arriva la casa del Zepo Dincen (Rudoni) era il fattore del Tatti, lui aveva il compito di controllare e dirigere i lavori dei contadini che lavoravano per il padrone Paolo Tatti (sindaco dal 1863 al 1913, ndr) che era proprietario di buona parte del paese.
LA SALA DA BALLO: IL VIA VAI…“Dopo l’abitazione del Zapo Dencin (Rudoni) c’erano delle abitazioni per i contadini. Vi abitava anche la Delaide Strascera che sapeva leggere il destino delle carte da gioco, perciò le signorine andavano da lei che con 50 centesimi o 1 lira sapevano se il loro moroso le amava o le tradiva (io ero troppo piccola, ma anche quando fui grande non ho mai creduto alle carte).
C’erano dei locali rustici, ma che avevano l’apertura sulla strada. Allora ci fu chi pensò di fare qualcosa che potesse rallegrare la gioventù e così, dopo il ‘Cinema Iris’ ecco che la famiglia Ranzani fece una bella sala ‘Caffè Gelateria’, ma quel che più faceva scandalo era che si fece anche una ‘Sala da ballo’ che fu subito battezzata ‘Il Via Vai’! Vi potevano entrare solo le persone che avevano oltre 20 anni e quelle che ne avevano meno stavano fuori sulla strada, ballavano e si divertivano come o forse più di quelli che erano in sala.
Dopo il ‘Caffè’ e la ‘Sala da Ballo’ c’era il botteghino che vendeva zoccoli, spolette di filo per cucire, frutta e verdura.
Eccoci di nuovo sulla destra della Via Novara. Dopo la casa della signora Amalia c’era un caseggiato di proprietà Cedrati: il padre e il figlio Natale facevano i prestinai e il loro pane era il migliore del paese.
Veniva poi l’ultimo caseggiato. Mia mamma mi diceva che era del Giacomot, io però ricordo che vi abitò per tanti anni la Cumà, la sciura Gaetana. Quella casa era molto bella, aveva due bei balconi e un cancello molto bello, ma ciò che mi attirava l’attenzione erano delle pitture che c’erano come cornice sul muro, prima che cominciava il tetto. Le guardavo perché mia mamma diceva: ‘Vedi quella faccia è la tale, quell’altro vicino che ha la gobba è il tale ed erano persone che conoscevo anch’io, ma che non ricordo più i loro nomi o nomignoli. Quelle pitture erano state fatte dal fratello gemello del Giacomot, il Carlin del Bias (Carlo Bonomi).
In quella casa c’era il negozio della Pina Badona e suo marito Anselmo. Vendevano della tela, grembiuli confezionati, cappelli da uomo e da donna. Era un bel negozio, sul bancone di vendita troneggiavano dei bei vasi di vetro che contenevano confetti, anisit, millegusti. La Pina e mia mamma erano molto amiche perciò quando spendevo il mia palancon (10 centesimi) la Pina era abbondante nel fare il mio cartoccio!
CIAO BAMBINA!NON SEI STATA CAPITA…MA CE L’HAI FATTA…“ Torno a sinistra per descrivere l’ultimo tratto di Via Novara. Dopo il botteghino di roba mista, ecco la casa di Donna Maria, qualche locale, una porta, una finestra, un tratto di muro, la stradicciola un po’ in salita si allarga per dare spazio al portone d’entrata. Facevano da cornice due piante di robinia che a primavera inoltrata i grappoli di fiori bianchi mandavano un profumo così forte che lo si sentiva per tutta la via. Erano belle quelle piante, stavano bene, mettevano allegria.
Il portone in legno della villa De Cristoforis (attuale palazzo municipale, ndr) era quasi sempre chiuso. Quando lo aprivano si vedeva l’entrata ben curata, le aiuole in fiore, anche il selciato era bello, di sassi bianchi e neri messi con maestria, che figuravano delle grandi foglie. Dopo questo spazio incominciava la strada in discesa, tutta in selciato, che portava al Naviglio. Qualche passo ancora, ecco, mi fermo qui. A destra vedo la ‘Trattoria della Pesa’ del Cicoon Pidola alle mie spalle la Madonna davanti a me la strada con quella polvere che quando camminavo a piedi nudi sembrava cipria.
Seguendo i miei ricordi vedo il ponte sul Naviglio, come era allora, molto pittoresco e vicino a lui, come per proteggerlo, la grande, la magnifica secolare quercia: come era bello sedersi sul parapetto del ponte e godere della sua ombra!
Un poco più in là, a sinistra, una piccola casa, con un piccolo porticato che le dava un aspetto un po’ autoritario: la Gareta, così la chiamavano.
C’è un po’ di foschia e i miei occhi si appannano, allora mi giro un po’ a sinistra, guardo giù e vedo una bambina con la sua mamma che scendono verso il Naviglio, è così bella, delicata, e tenera questa immagine che non vorrei si cancellasse dai miei ricordi!…’Ciao bambina! Non sei stata capita…ma ce l’hai fatta!’
Ora i sogni e i ricordi sono finiti. Mi giro e ciò che stava alla mia sinistra ora è alla mia destra e viceversa. La strada, il ponte sono alle mie spalle: guardo, cerco dove sono le piante di sciscit? che ne succhiavano i fiori? Sì, c’è ancora la villa De Cristoforis ma non ha più l’attrazione. La nobiltà che aveva l’hanno pasticciata, ora la chiamano Villa Gray (che per farla più volgare qualcuno la chiama Villa Grey!) che brutto: per me è e sarà sempre la casa della Donna Maria.
Dove sono la casa del Giacomot e tutto quello che c’era? Però da dove guardo vedo ancora, ma si sta cancellando come nella nebbia, l’osteria del Ramola, al Tano faré, i due gelsi, un portone…il numero 6 di Via Novara. Ma dov’è la via Novara? La Bettola? Non c’è più è stata sopraffatta dalla Via Roma…
FINE. In questo mio scritto ci saranno sicuramente degli errori, ma c’è tanto sentimento, amore e nostalgia.”
Rosetta, 23 maggio 1995
NB. La Rosetta Pastori, nata nel 1912 in Via Novara, 6 morì all’inizio del XXI secolo. Del suo cortile, accessibile dal di dietro, attraverso una trasversale di Via Tatti e un viottolo che conduce a quella che probabilmente fu la sua abitazione, sono rimasti solo alcuni lacerti pericolanti.