Libri, carte, fotografie, oggetti della vita vissuta scompaiono insieme al ‘raccoglitore’se nessuno si cura di tramandarli. Per la verità, qualcuno c’è ancora che ha la passione della memoria, della ‘conservazione’ e se un figlio del ‘raccoglitore’ scomparso chiama … arriva e ritira il materiale. E’ successo anche a chi scrive: molte foto di antica memoria e tradizione che pubblichiamo su Fb hanno questa origine.
Oggi, uno di questi appassionati (sono due o tre in paese) ha suonato alla porta per chiedere un consulto a chi scrive. Aveva in mano alcune foto di Giorgio Gaber quando – negli anni Sessanta del Novecento – veniva a cantare a Turbigo nel ‘Giardino-dancing’, allora situato al primo piano del Circolo di Via Vittorio Veneto.
Insieme alla foto di Gaber (che pubblichiamo) aveva una medaglietta con il simbolo del Comune – distribuita in occasione dell’inaugurazione della Cooperativa – e uno scritto di Giovanni Artero nel quale si raccontava la nascita delle associazioni dei lavoratori nell’Abbiatense-Castanese. Tra queste c’è la storia della Coop di Consumo turbighese della quale c’erano – un tempo – diversi negozi in paese: in Via Roma, 15, in alcuni locali del palazzo De Cristoforis c’era il negoziante ‘Fraschin’ che segnava la spesa del cliente su un libretto con la copertina blu; in Via Al Palazzo, dove ci sono ancora tre gradini (casa Cantarini) c’era un altro negozio e un altro era al Circolo.
LA STORIA – La Coop turbighese prese le mosse da un Circolo vinicolo, Casa del Popolo per operai e contadini promossa dai socialisti che si accollavano le spese di gestione e affrontavano agli anatemi del parroco. Difatti, la ‘Casa del Popolo’ era una sorta di ‘tempio’ laico, opposto alla chiesa, in cui non circolava il messaggio della rassegnazione, ma quello della redenzione proletaria.
Su questi presupposti fu costituita legalmente il 3 giugno 1906 la Coop turbighese. Il primo Consiglio d’amministrazione era composto da Carlo Casati (presidente), impiegato; da Guido Rescalli e Paolo Mandelli; da Pietro Azzimonti, muratore; da Francesco Bianchini (sarebbe diventato sindaco, comunista) e Pietro Mira, fuochisti; da Giuseppe Merlo, operaio.
Il Circolo si trasformò in Cooperativa di Consumo allo scopo di acquistare “derrate alimentari, merci agricole, macchine, attrezzi, per distribuirli ai propri soci e ai consumatori in genere”. L’iniziativa incontrò il favore della popolazione (ma non di alcuni maggiorenti del paese e del clero) e la sua rapida espansione fu dovuta alla collaborazione di una certa borghesia locale che deteneva il 40% del capitale azionario. Negli anni a venire, allo spaccio alimentare e al Circolo vinicolo si aggiunsero l’impianto di cucina economica, l’attivazione di una mensa operaia, il macello, il deposito di carbone, il forno panificatore e il centro lettura annesso alla biblioteca popolare. Passarono poi sotto il controllo del Circolo cooperativo anche la Società Operaia di Mutuo soccorso e la Mutua assicurazione del bestiame. Ma non fu facile trovare la forza per sussistere in quanto ci furono aspre opposizioni da parte degli esercizi commerciali e del clero. Ma il Circolo resistette al punto che il Maglificio arrivò ad occupare trenta socie operaie e si rivelò un’azienda vitale che aveva allargato nel 1910 la base societaria incrementando la produzione. Dulcis in fundo… la decisione della società di ammettere anche le donne suscitò scandalo tra i benpensanti del paese. Ciò comunque non impedì al sodalizio, che aveva previsto nei dispositivi statutari anche un fondo speciale per la vecchiaia e gli infortuni, di prendere il largo e di erogare i primi sussidi.