TURBIGO – Angelo Paratico, lo scrittore giornalista di origini turbighesi – grande appassionato di storia italiana – che vive a Hong Kong da trent’anni, ha pubblicato in questi giorni sul blog di Dino Pessina (Corriere della Sera) il seguente articolo:
Ottant’anni fa, il 3 ottobre 1935, l’Italia invadeva l’Etiopia. Ogni nostra città, borgo e villaggio contribuì inviando soldati, che la propaganda definì volontari. In pochi lo furono davvero, forse attratti dalle ‘faccette nere’ sulle cartoline che circolavano mostrandole con i turgidi seni al vento, oppure per fuggire dalla povertà.
Benito Mussolini, conscio dei rischi che correva, aveva cercato un accordo con le potenze europee a Stresa, ottenendo una sorta di tacito accordo. Forse capì male e quella si rivelò una decisione fatale per l’Italia, che si trovò isolata e costretta ad abbracciare Adolf Hitler.
Il piano segreto Hoare-Laval del dicembre 1935, a guerra iniziata, per mediare una divisione dell’Etiopia – lasciando al Negus una parte del suo regno, in cambio del Tigrai e del Ogaden che sarebbero passati all’Italia – venne reso pubblico in Gran Bretagna provocando un’ondata d’indignazione. Umiliato, Mussolini decise di portare avanti i suoi piani di conquista completa, nonostante le sanzioni e l’opposizione della Lega delle Nazioni. Quella guerra segnò il culmine d’una lunga serie di mosse e contromosse volte a occupare un ‘posto al sole’ da offrire al nostro proletariato e vendicare l’onta della sconfitta di Adua.
La gravità dell’errore di Mussolini e di Vittorio Emanuele III fu chiaro a pochi, e fra questi pochi vorrei citare una grande scrittrice e giornalista americana oggi dimenticata che si trovava a Roma in quei giorni: Beatrice Baskerville, che nel 1937 pubblicò un libro intitolato “What next o Duce?”. Contrariamente a ogni aspettativa le operazioni militari guidate da Badoglio e Graziani si conclusero rapidamente, dopo solo sei mesi di combattimenti e il 9 maggio 1936 venne proclamato l’impero: il canto del cigno del regime fascista. Non vi furono mai dubbi sul fatto che le forze etiopi non potevano contrastare quelle italiane ma esistevano forti dubbi sulla resistenza delle truppe italiane alle malattie che infestavano quelle terre. Eppure, salvo poche eccezioni, le misure sanitarie adottate funzionarono alla perfezione. Questo fu grazie all’opera d’un grande medico, Aldo Castellani (Firenze 1887-Lisbona 1971) uno specialista in malattie tropicali. Lo ricorderemo attingendo alla sua affascinante autobiografia, pubblicata a New York nel 1960 e intitolata: “A Doctor in Many Lands.”
Nel 1899 Castellani si laureò in medicina a Firenze con una tesi sul tifo e poi andò in Germania per due anni di specializzazione. Studiò con il famoso batteriologo Krause presso l’Università di Bonn, che lo mise a lavorare nel proprio laboratorio, dove si distinse riuscendo a pubblicare su di una prestigiosa rivista tedesca un suo nuovo sistema di controllo medico, diventato noto come il “Test Castellani”. Dopo la Germania andò a Londra per lavorare alla prestigiosa scuola di medicina tropicale con Sir Patrick Manson, una figura leggendaria che aveva passato la propria vita in Cina e in India. Nel 1902 chiesero a Manson un batteriologo per arginare un’epidemia di tripanosomiasi in Uganda e lui mandò il suo più brillante assistente, Aldo Castellani. L’anno successivo lo troviamo a Ceylon (Sri Lanka) dove rimase sino al 1915 come direttore d’una clinica, nel 1904 ebbe l’onore di avere fra i suoi paziente l’ex imperatrice francese Eugenia, vedova di Napoleone III. Da Ceylon compì vari viaggi di lavoro nelle Filippine, in Indonesia e in Cina. Nel 1915 fu richiamato in Italia e nominato direttore dell’istituto per le malattie tropicali di Napoli, e fu anche incaricato di condurre ispezioni sanitarie in Macedonia e Serbia. Successivamente fu con i nostri fanti trincerati sul Carso. Nel 1918 è a Parigi e poi in Polonia, di nuovo indipendente ma prostrata dalla carestia, dal colera e dal tifo. Nel 1920 venne lasciato libero di riprendere la propria carriera accademica e tornò a Roma, poi a New Orleans e infine di nuovo a Londra, dove mantenne un prestigioso studio sino al 1940, pur tornando spesso in Italia, dato che annoverava anche Mussolini fra i suoi pazienti, oltre che alle più illustri teste coronate, divi del cinema, come Rodolfo Valentino, il presidente Roosevelt e in seguito anche la regina Elisabetta.
Nel marzo del 1935 venne convocato a Roma dal ministro delle colonie, Alessandro Lessona (1891-1991)il quale gli comunicò che la guerra in Abissinia era inevitabile e che Mussolini voleva che lui seguisse l’igiene delle truppe italiane in quel paese ostile. Castellani accettò e il giorno dopo vide Mussolini e discusse il piano d’azione, ricevendo carta bianca. Il credito goduto da Castellani era così grande che un telegramma mandato a Badoglio, a guerra iniziata, in cui si diceva che le spedizioni di medicine avevano la precedenza sulle munizioni, quasi causò un colpo apoplettico al flemmatico maresciallo piemontese, il quale non si rendeva conto di come la vittoria finale dipendeva proprio all’abbondanza di quelle medicine. Badoglio non leggeva i giornali esteri perché se lo avesse fatto avrebbe notato che ogni giorno uscivano articoli nei quali si diceva che gli italiani sarebbero stati battuti proprio dalle malattie e non dalle armi del Negus. Dopo la caduta del regime egli venne aspramente criticato per la sua decisione, ma lui si giustificò dicendo che era un ufficiale della riserva e non poteva disubbidire agli ordini del comandante in capo e che l’Italia “right or wrong is my Country”. Pochi giorni dopo aver visto Mussolini, Castellani partì con il ministro Lessona: erano diretti in Eritrea e da Massaua si diressero ad Asmara per studiare la situazione sanitaria di quelle zone. Rientrarono dopo due settimane e prepararono la spedizione nei più minuti dettagli. Castellani acquistò enormi quantità di chinino dall’Olanda, mettendo a tacere il ministro della sanità che era contrario, sicuro che ce ne fosse già a sufficienza. Con l’inizio delle operazioni militari il maresciallo De Bono parve essere troppo prudente e Mussolini inviò Badoglio, Lessona e Castellani. De Bono venne destituito e Graziani e Badoglio condussero la guerra. Fra Graziani e Badoglio Castellani preferiva il primo e aggiunge che le accuse di crudeltà dirette contro di lui sono esagerate, come pure le accuse rivolte a Badoglio di aver usato i gas asfissianti, anche se oggi sappiamo che in effetti furono usati quelli urticanti, sia pur in misura limitata. Di questa opinione era pure Indro Montanelli: il grande giornalista sosteneva che la prova sta nel fatto che i soldati italiani erano sprovvisti di maschere antigas e nessuno dei nostri ne fu mai colpito; inoltre il loro uso fu giustificato dal fatto che gli etiopi usavano pallottole dum-dum e mutilavano i prigionieri. L’esercito italiano ebbe a disposizione 135 ospedali da campo, con sale operatorie e macchine per i raggi X. 55 piccoli ospedali mobili, 4 laboratori per ricerche batteriologiche, 18 sezioni di disinfestazione, 139 potabilizzatori, 4 magazzini per provviste farmaceutiche. Altri ospedali e laboratori erano disponibili per l’aviazione e la marina. I medici impiegati furono 2.484. Le aspettative di morte per malattia fra le nostre truppe erano state stimate a circa 22.000 a causa di malaria, dissenteria, tifo e paratifo, febbri, vaiolo, colpi di sole, beriberi, pellagra, scorbuto, avitaminosi, tetano, meningite, colera, punture di scorpioni e serpenti ma, grazie ad Aldo Castellani, furono solo 599 su quasi mezzo milione di soldati mobilitati. Gli italiani morti per ferite sul campo furono 1.099 secondo Castellani, ma altre fonti parlano di 5-10.000.
Aldo Castellani rimase un monarchico per tutta la sua vita. Commenta che se gli Alleati avessero ritardato di tre mesi la data del plebiscito, pro o contro la monarchia, che avevano fissato per il 3 giugno 1946, oggi l’Italia non sarebbe una repubblica. Coerente con le proprie convinzioni accompagnò la regina Maria José e i figli di re Umberto II sino a Lisbona, in Portogallo, che divenne la sua nuova base e residenza. Tornava spesso in Italia e viaggiò moltissimo per partecipare a congressi, per tenere conferenze e per visitare tutti quei celebri personaggi d’un mondo che stava tramontando.
FOTO Badoglio a Turbigo attorniato dei personaggi dell’epoca tra cui il dottor Borghi che partecipò alla Campagna d’Etiopia nel Rgt. ‘Gavinana’. Conservò le foto del periodo di guerra nelle quali sono protagonisti i corpi di giovani etiopi martoriati dai gas.