TURBIGO – Martedì 23 febbraio 2016 su ‘Il Giornale’ è comparsa una foto di Carlo Bonomi (in un ritratto di gruppo con l’avvocato Accetti, Lino Pesaro, Mario Castagneri) a corollario in un lungo articolo di presentazione di una mostra (che si è aperta due giorni dopo al Palazzo delle Stelline di Milano) nel quale si parlava di quel ‘Gruppo Novecento’ di cui Bonomi faceva parte con Carrà, Balla, De Chirico, , Severini, Wild e Sironi.
Una mostra che si connette idealmente con quella inaugurata il 12 gennaio 1983 alla Permanente di Milano, della quale l’editore Mazzotta pubblicò il catalogo (Il Novecento Italiano (1923-1933)). La rassegna di trent’anni fa ripercorreva la storia del ‘Novecento’ partendo dal primo gruppo di sette pittori costituitosi a Milano nel 1922 e le successive adesioni degli artisti che in seguito aderirono al movimento a livello nazionale. La mostra esponeva 142 opere, le più significative del movimento, tra le quali ‘La Madre’ di Carlo Bonomi, a quell’epoca già esposta e molto ammirata dalla critica in altre esposizioni. Nel catalogo Mazzotta era presentato l’artista turbighese, le sue opere, le note bibliografiche, ed è pure citato il volume che la Società Storica Turbighese aveva editato nel 1981, in occasione del ventennale della morte dell’artista.
Al tempo, chi scrive ricorda di aver chiacchierato con il ‘Lisa’, un turbighese doc, che ci spiegò i motivi che allontanarono Carlo Bonomi dal Gruppo che aveva promosso. Lisa ci disse che Bonomi era stato chiamato, con Carrà a Manzù (amici cari con i quali pasteggiava spesso e che venivano a trovarlo a Turbigo), a partecipare ad una Commissione che doveva decidere l’assegnazione di un premio. Si trovò in disaccordo con la scelta, trovando così il motivo di abbandonare il mondo milanese del quale si era stufato. La rinuncia di tale frequentazione gli diede motivo di iniziare a progettare e costruire la ‘Selvaggia, a sua immagine e somiglianza’ con l’aiuto di un solo muratore di Castano e lui che faceva il manovale e l’architetto.
Nel 1936 fu incaricato di realizzare un busto in bronzo del Duce da murarsi nella ‘Casa del Fascio’ turbighese (attuale asilo nido Villa Tatti). All’inaugurazione, quando venne scoperto il busto, la gente non lo riconobbe e alle osservazioni il ‘Carlin’ rispose di aver ritratto la persona (il Duce) che aveva conosciuto nelle trincee della Grande Guerra, lasciando chiaramente intendere che non era più lo stesso. Da questo fatto è nata la famosa frase che ha lasciato scritto all’ingresso della sua abitazione: ‘La Selvaggia – intenda chi può’ altezza l.m. 25.000 metri‘, frase che rappresenta una sorta di risposta alle critiche al busto mussoliniano non somigliante al Duce, denunciando così il fatto di non essere stato compreso nella sua opera.
FOTO La Madre opera di Calo Bonomi