TURBIGO (VIA ARNO). La Via si snoda da via Roma, a sinistra voltando, all’altezza della cascina Cedrati e prosegue fino a termine ferrovia, anche se la parte ultima è stata ripresa dalla natura che ha occupato quelle che era una strada bianca. Si tratta di un’area un tempo caratterizzata dalla presenza delle acque dell’Arno che ancora oggi corrono in una roggia che delimita un lato della cascina Cedrati, mentre la strada forma una sorta di ‘U’. La Via fu denominata con delibera del Consiglio Comunale del 28 settembre 1971 in occasione del censimento nazionale.
L’importanza delle acque dell’Arno, ancora nella seconda metà dell’Ottocento, fu tale da obbligare i progettisti della ferrovia Novara-Seregno a realizzare delle campate costose (nella foto) per evitare la tombinatura del ‘fiume’ che proseguiva nei boschi di quella che oggi è l’area della centrale termoelettrica. Negli Anni Ottanta del secolo scorso l’Arno fu portato all’esterno dell’area della centrale e incanalato in un ‘nobile’ alveo che oggi contorna l’area industriale portando le sue acque alla centrale idroelettrica di Castelletto di Cuggiono.
‘Fluvio Arne’ di romana memoria dicono i documenti antichi, ma alcuni autori riconducono il nome addirittura all’età etrusca (V sec. a.C.) che toccò anche le nostre contrade (Pombia), trovando così corrispondenza con il fiume che bagna Firenze. E’ certo solamente che il ‘torrente’ Arno (chiamato anche ‘Arnetta’ a monte), del quale il nostro ‘colatore’ è l’estrema appendice verso il Ticino, il 6 marzo 1836 inondò Turbigo, penetrando nel territorio comunale lungo la direttrice Cascina Malpaga-Casello Ferroviario-Via XXV aprile (la cronaca è conservata nell’Archivio Parrocchiale).
Lo sviluppo incontrollato del Varesotto degli anni Cinquanta del secolo scorso aveva trovato nell’Arno una comoda via di fuga dei liquami, al punto che le acque fetide cominciarono a dilagare nei boschi del Castanese. Il primo e l’unico che denunciò il grave inquinamento in atto fu l’Ufficiale Sanitario, il dottor Giuseppe Limoli, ma nessuno lo prese sul serio. Nessun magistrato intervenne. In occasione di ‘Malpensa 2000’, un fortunoso ‘Accordo di Programma’ promosso dal ministro Zamberletti, permise la costruzione di due grandi vasche nelle quali imbrigliare le acque di piena del torrente il cui alveo, oggi, si ferma al depuratore di Sant’Antonino.