MILANO – All’indomani dello schiaffo inferto alla Cina dalla Corte permanente di arbitrato della Legge del Mare (Onu) dell’Aia, che le ha negato la sovranità sul Mar cinese meridionale, e la conseguente dura reazione del gigante asiatico, altre nuvole si addensano sul sogno cinese di abbinare al ruolo di superpotenza economica (prima o seconda al mondo secondo calcoli diversi) anche il ruolo di superpotenza politica. Sogno che potrebbe realizzarsi soltanto nel caso di declino americano che, almeno nel Pacifico, sembra ben lontano. Anzi. Gli accordi Usa con Giappone, Corea del Sud, India, Australia, Filippine, Vietnam sembrano riproporre quella cintura di contenimento economico-militare che tanto bene ha funzionato circa 80 anni fa nei confronti del Giappone fino a precipitarlo in una rovinosa sconfitta. Per contro la Cina è fermamente decisa a riscattare oltre un secolo di umiliazioni occidentali cominciate nel 1839 con la prima Guerra dell’Oppio.
Se ne è parlato nella sede Assolombarda di Milano alla sesta edizione della conferenza annuale sulla Cina organizzata da Ispi dedicata alla memoria di Maria Weber docente all’ Università Bocconi, autrice di importanti saggi sulla Cina, responsabile dell’ Istituto italiano di cultura di Pechino. Apertura dei lavori affidata a Carlo Secchi, vicepresidente Ispi ed emerito rettore dell’ Università Bocconi con interventi introduttivi di Alessandro Spada, vicepresidente Assolombarda ed, in collegamento, Ettore Sequi, ambasciatore d’Italia a Pechino. Nella prima parte dei lavori dal titolo “Le sfide politiche ed economiche del Sogno Cinese” sono intervenuti: Alessia Amighini, senior research fellow Ispi e professore Università del Piemonte Orientale; Christopher Balding, professore di economia politica, Università di Pechino; Hongyi Lai, professore di economia politica internazionale della Cina, università di Nottingham; Axel Berkofsky, senior research fellow Ispi e professore università di Pavia; Gianluigi Salcecci, direzione studi e ricerche Intesa Sanpaolo. Nella seconda parte dei lavori “New Normal, nuove sfide e strategie per le imprese italiane”, moderatore Marco Bettin, direttore operativo Fondazione Italia Cina, interventi di Roberto Snaidero, presidente Federlegno; Fabrizio Grillo, affari generali e direttore relazioni internazionali Bracco; Andrea Durante, responsabile strategie Eldor Corporation; Andrea Corbetta, manager progetti trasporto e logistica Gefco Itaia.
Ad oggi, facendo i debiti scongiuri contro un fosco futuro che speriamo mai si realizzi, prevale lo scenario economico ben più tranquillizzante anche se pure qui le ombre non mancano. La più grossa delle quali è costituita dall’apparente indecisione della Cina se abbandonare il modello di economia socialista e adottare decisamente quello liberal-capitalista.
I dati sono controversi. Un esempio per tutti: ancora oggi le aziende maggiori che operano soprattutto negli obsoleti settori dell’acciaio e minerario sono in mano allo Stato e producono passivi enormi finanziati dalle banche, pure statali, facendo crescere il debito pubblico (250% del Pil, quasi il doppio del debito italiano). Se la motivazione sociale è quella di non chiudere le aziende decotte per non trovarsi di fronte a decine di milioni di disoccupati difficilmente riciclabili, questa non è certo economia di mercato. Anche perché quando le società pubbliche falliscono – e sono state oltre 2000 lo scorso anno – subentrano aziende private fotocopia finanziate con denaro pubblico.
Per contro il premier Xi Jinping – sempre più uomo forte del governo cinese – sta dando ampio spazio, oltre alla dura lotta alla corruzione fortemente osteggiata dai mandarini locali e nazionali, a settori più in linea con un Paese moderno: urbanizzazione sostenibile, industria medicale e aerospaziale, alta tecnologia, green economy, agroalimentare, arredo, moda. Settori nei quali l’Italia può dire molto, e i suoi imprenditori fare molto. Per questo è in atto, da parte delle nostre rappresentanze a Pechino supportate dalle associazioni imprenditoriali e di promozione italiane, una massiccia operazione di “sistema Italia” con una fitta serie di incontri tra istituzioni (compresi alcuni ministri) e industriali per recuperare il tempo perduto e contribuire a soddisfare la domanda dei 200 milioni di cinesi ceto medio, destinati a superare presto quelli americani.
Dal canto suo la Cina continua il suo programma di massicci investimenti nel globo. A prescindere da quanto fa in Africa, emblematico è, a casa nostra, l’interessamento per le squadre di calcio Inter e Milan destinate a diventare alfieri di italianità nel Continente di Mezzo. Ma di ben maggior rilievo per l’Europa è il progetto di Via della Seta terrestre e marittima (One Belt One Road) destinata a intensificare enormemente i rapporti commerciali euroasiatici. Vengono realizzate o potenziate infrastrutture – porti, ferrovie, autostrade – progettate, eseguite e finanziate con capitali cinesi attraverso le neo costituite Banca Asiatica e Banca di Sviluppo cui partecipano anche Paesi occidentali, tra cui l’Italia. Dopo il porto del Pireo in Grecia, la ferrovia Belgrado-Sofia ed altri investimenti nei Balcani. Un buon auspicio. Perché laddove si fanno affari i cannoni tacciono.
Foto: Il presidente IEA Achille Colombo Clorici