TURBIGO – Ieri sera, sabato 1° ottobre, nella chiesa d’In Giò, Christian sindaco e don Pierluigi parroco (adesso si usa parlare così) e un’altra trentina di astanti hanno ascoltato con attenzione le parole di Katia e Gabriela restauratrici, sul restauro in corso.
LINO BRAGA la serata si è aperta con i numeri che uno dei componenti il gruppo storico di ‘Quelli d’in Giò’ ha orgogliosamente comunicato: “40mila euro sono stati raccolti e spesi per la chiesa nei primi trent’anni di vita del gruppo. L’intervento in questione costerà la bella cifra di 20mila euro, con i quali si azzereranno i fondi raccolti in questi ultimi anni, anche attraverso donazioni di persone (anonomi per scelta) che desiderano che i loro soldi vengano spesi per la chiesa d’in Giò”. Perché?
GIUSEPPE LEONI. A questa domanda Giuseppe Leoni ha risposto così: “ A Turbigo se chiedete qualcuno dov’è la chiesa dei SS. Martiri Cosma e Damiano vi sentirete rispondere,’La Gesa d’in Giò?’ Perché è questo l’appellativo con il quale è conosciuta questa antica presenza. Appellativo che risale al tempo in cui il paese era diviso amministrativamente in due parti: Turbigo Superiore sorto sotto le balze del Castello e Turbigo Inferiore nato dalle acque del Naviglio Grande.”
Poi un sunto della storia millenaria. Di origine longobarda, l’oratorio fece parte di quella rete di luoghi sacri che delineava l’antica strada mercatoria che collegava i paesi dei laghi a Pavia. Lo documentano i ritrovamenti avvenuti nel ‘Turbigh in Giò’: la necropoli di Via Monteruzzo che conteneva anche oggetti d’oro; quella, più antica, affiorata all’incrocio tra Via Fredda e Via al Palazzo e l’ultima (1988) venuta alla luce sull’alzaia del Naviglio Grande in occasione degli scavi della fognatura.
Con il tempo la chiesetta divenne il centro nevralgico della vita del ‘Turbigh in Giò’ che si svolgeva in stretta connessione con quella del Naviglio Grande: i barconi carichi di cose e persone che andavano a Milano; i guadi dove arrivava e si scaricava di tutto (anche le colonne della chiesa di San Zenone di Castano).
Il cardinal Flaminio Piatti (1550-1613) la fece più grande, mettendo a disposizione – con lascito testamentario – i fondi per la costruzione dell’attuale chiesa adiacente all’antica presenza. La chiesa conventuale fu affidata agli Agostiniani Scalzi, un ordine religioso nato all’epoca della Controriforma (di cui il cardinale turbighese fu un grande propugnatore insieme a San Carlo e al Bascapè) che la arricchì notevolmente, anche grazie alle donazione dei morenti, per i quali i frati facevano a gara con i parroci turbighesi per assisterli durante il trapasso all’altro mondo. Il convento fu soppresso all’inizio dell’Ottocento e, nel 1817, ci fu l’asta degli arredi che spogliarono completamente la chiesa, mentre il convento divenne di proprietà privata (Oriani prima, poi Gualdoni, oggi Vezzani).
Fu il ‘Palio turbighese’ (1984-85) a riscoprire il significato profondo del ‘Turbigh in Giò’ e tale presa di coscienza fece sì che un Gruppo di vicini alla chiesa si diede da fare per tenerla in vita, chiedendo un contributo al Comune (250 milioni di vecchie lire) che rispose. In seguito, gli introiti della festa dei Santi Martiri Cosma e Damiano (4° domenica di ottobre), come ha anticipato Lino Braga (economo del Gruppo), sono stati sempre impegnati per la manutenzione dell’edificio ed ora si sta cercando di restaurare gli interni.
KATIA E GABRIELA hanno illustrato quello che finora hanno ‘scoperto’, anche attraverso gli innumerevoli assaggi sui muri interni (paraste) della chiesa: esiste una prima decorazione settecentesca (il periodo d’oro del convento degli Agostiniani Scalzi) sulla quale, in parte, ne è stata sovrapposta un’altra ottocentesca. In particolare, nella cappella di San Carlo Borromeo si è ritrovata la mano di Carlo Bonomi che i documenti storici documentano abbia lavorato alla cappella agli inizi del Novecento. Infine, negli anni Sessanta del secolo scorso, contemporaneamente al grande intervento di manutenzione straordinaria della chiesa (rifacimento pavimento e tetto), l’interno della chiesa è stato ‘omogeneizzato’ attraverso una mano di grigio piombo che ne ha spento la vitalità artistica.
FOTO il ‘Gomitato della Festa Din Giò’ in un disegno di Carlo Bonomi. Il Gruppo ‘Quelli della Festa d’In Giò’ (che ha un proprio indirizzo Facebook che invitiamo ad esplorare) ne ha preso il vessillo nel 1985. Nell’altra foto, le restauratrici intente nel loro lavoro