Per una economia equa, fra adulti che conoscono la Storia, è il sottotitolo della recensione di un libro di Angelo Paratico pubblicata sul blog di Dino Messina del ‘Corriere della Sera’.
Il tema ricorrente nel libro dell’economista Michel Santi “Per un Capitalismo fra Adulti Consenzienti” pubblicato in lingua inglese pochi giorni fa, è che gli uomini politici, purtroppo, non studiano la storia. E proprio a causa di ciò ripetono gli errori commessi dai loro predecessori.
Michel Santi, di padre côrso e di madre libanese, ha lavorato per il Word Economic Forum e per altre varie grandi istituzione finanziarie. Oggi, oltre all’attività di scrittore, gestisce un fondo basato su investimenti in arte: avendo perso fede in valute e titoli, si dice convinto che solo la bellezza e la conoscenza della Storia potranno salvare il mondo.
Subito dopo l’ignoranza storica dei politici che ci guidano, il suo secondo bersaglio è l’esagerata enfasi sulla lotta all’inflazione.
Analizzando le radici storiche della grande depressione che provocò un immane disastro fra la fine degli anni ‘20 e i primi anni ’30 del secolo scorso, egli afferma che le profonde radici di tale crisi vanno ricercate nella decisione della Francia, potenza economica dominante in quegli anni sul continente europeo, fra il 1927 al 1932, di portare le proprie riserve auree dal 7 al 27%. L’esempio francese fu seguito da altri paesi e l’oro divenne raro, causando una forte deflazione, che portò diritto alla depressione.
Studiando i dati macroeconomici dell’Europa nel 1930 e di quella odierna, ci si accorge che ci troviamo in una situazione simile. In quegli anni la “Grecia d’Europa” era la Germania: dipendente da aiuti, piena di debiti per via delle clausole di riparazione contenute nel trattato di Versailles e con un tasso di disoccupazione vicino al 35%.
In quel periodo l’economia francese tirava, proprio come la Germania dei giorni nostri ed esattamente come la Germania d’oggi, anche la Francia rifiutò di comportarsi con generosità. I paesi occidentali concessero molto in ritardo una moratoria sui debiti tedeschi, ma nel 1931 il sistema bancario tedesco collassò e le banche chiusero, proprio come accaduto recentemente in Grecia.
Michel Santi ce l’ha particolarmente con l’ottusità della signora Merkel, del ministro dell’economia Schäuble – un ex avvocato e politico di carriera – e del presidente della Bundensbank, Weidemann. Li vorrebbe rimandare sui banchi di scuola a studiare la storia, invece che impartire lezioni di moralità a nazioni meno fortunate della loro, pur sapendo che il surplus germanico deriva da finanziamenti ed esportazioni tedesche verso quei paesi. E non è vero, come ripete il terzetto teutone, che l’alto tasso di disoccupazione deriva dall’indisciplina fiscale, bensì dalla mancanza di domanda causata dalla deflazione.
L’euro, in questo momento, sta aggravando la situazione di economie già in recessione, alzando il livello di deflazione, esattamente come negli anni trenta, quando l’accantonamento d’oro causò il crack.
Come è ben noto, storicamente i tedeschi non amano indebitarsi. La parola debito in tedesco “schulden” deriva da colpa “shuld” e la Germania è uno dei paesi al mondo dove si fa più uso di contante. Circa l’80% di tutte le transazioni in Germania sono in contanti, e non a caso la Germania è il paese che più insiste sull’austerità ed è contro la creazione di debiti.
L’economia europea è strozzata dall’intransigenza fiscale tedesca, eppure possiamo guardare al Giappone: la prova vivente che i tedeschi sbagliano. Il Giappone ha il rapporto debito/Pil peggiore al mondo, eppure paga un piccolo scotto in termini di interessi, regolandoli semplicemente accendendo o spegnendo il torchio che stampa i loro yen. Questa è la dimostrazione evidente che l’Europa sta sbagliando, prediligendo la parità di bilancio alla crescita. Una originale soluzione proposta da Santi è l’uscita parziale della Germania dal Euro, e un ritorno al Deutsche Mark per transazioni telematiche, mantenendo l’euro cartaceo per evitare che il DM sfondi il tetto delle banche tedesche.
Dunque, l’Europa dovrebbe seguire l’esempio tedesco per vivere felice e contenta, come predica Frau Merkel?
Michel Santi dice di no, perché in realtà le prime vittime di quel sistema sono proprio i tedeschi. Infatti, una delle ragioni del loro boom sta nella liberalizzazione del lavoro da pastoie sindacali – una trovata di Gerhard Schröder – creando una miriade di lavori temporanei, con paghette a livello “Bangladesh” di 400 euro mensili. La Germania è, secondo Santi, null’altro che uno zombie che esporta deflazione nel resto d’Europa, immiserendola e provocando la crescita di movimenti popolari di protesta.
Ormai il “miracolo economico tedesco” pare più un incubo, se analizzato con attenzione, con crescenti inegualità fra ricchi e poveri.
Il premio Nobel per l’Economia, Robert Mundell, prima della creazione dell’euro, dimostrò che una valuta comune estesa a un largo territorio può funzionare solo se esiste una effettiva circolazione dei capitali e della forza lavoro. Inoltre, è indispensabile una forte solidarietà fra zone e regioni. Ed è inoltre di fondamentale importanza consentire che in certe zone i prezzi possano non solo aumentare, ma anche diminuire. Un altro economista che nel 1997 profetizzò il disastro dell’euro fu Martin Feldstein, il quale disse che l’introduzione della moneta comune avrebbe esacerbato le crisi cicliche, aggravando il tasso di disoccupazione in certi stati membri e che tali crisi avrebbe causato ripensamenti sull’utilità dell’unione stessa.
Qual è dunque il futuro dell’Unione Europea secondo Michel Santi? Ecco un passo preso dal suo libro che ben sintetizza il suo pensiero: “Poiché la Germania rifiuta trasferimenti automatici che possano aiutare nazioni fiscalmente in difficoltà e poiché della creazione di una singola unione fiscale non se ne vuol proprio parlare, questa Europa deve disintegrarsi, nel cruciale interesse di certi paesi che si vanno ghettizzando. Non importa cosa accadrà: la disintegrazione sarà sempre preferibile al mantenimento dello status quo.”