Una telefonata al 112 partita da uno smartphone intestato ad un uomo di nazionalità marocchina che dice “Farò un attentato”. E si scatena il finimondo, per poi capire che era tutto uno scherzo di pessimo gusto. Siamo a Magenta dove un gruppo di ragazzi ha architettato una bravata di pessimo gusto. Sono tutti studenti dell’istituto Einaudi di via Mazenta, ma gli episodi si sono svolti fuori dall’orario scolastico. Un ragazzino di 13 anni l’altra mattina ha rubato il telefonino di una compagna e lo ha passato ad un amico. Da questo passaggio di consegne è partita la telefonata, per scherzo, alla centrale operativa dei carabinieri. La parola attentato con il numero che compariva in bella evidenza sapeva già di scherzo, ma i carabinieri hanno approfondito. E scoprono che il numero era intestato ad un nordafricano. I militari hanno indagato.
Sono andati sul posto di lavoro dell’uomo e lo hanno accompagnato a casa, nella provincia di Novara. La perquisiscono e non trovano niente. Lui, che da 28 anni vive in Italia e ha sempre lavorato regolarmente, spiega che il telefonino era in uso alla figlia, studentessa all’istituto Einaudi di Magenta. E così la verità salta fuori. “Ho voluto espressamente che il padre venisse a scuola a raccontare ai ragazzi cosa era successo – ha detto la professoressa Maria Grazia Pisoni, dirigente scolastico alle Einaudi – Ho voluto che i ragazzi chiedessero scusa per quello che avevano combinato. Sono scoppiati in lacrime. Per noi tutti è stato un momento importante portare il genitore in classe. Siamo partiti da un brutto momento per finire con una mattinata formativa per tutti”. Naturalmente i provvedimenti disciplinari per quei ragazzi ci saranno. Ma la sospensione non sarà un allontanamento dalla scuola perché è previsto che loro continueranno a frequentare l’istituto.
L’obiettivo dei docenti alle Einaudi, prestigioso istituto che ha formato migliaia di professionisti, è quello di avvicinare i ragazzi alla scuola e non di allontanarli. Il padre della studentessa è anche tra i responsabili di un centro culturale islamico dove si studia l’arabo. E si insegna la religione nel suo aspetto pacifista e non in quello estremista. “Durante l’incontro con i ragazzi – conclude il dirigente scolastico – abbiamo spiegato loro anche i pericoli che si corrono usando un telefonino. Quando mandiamo un messaggio siamo responsabili di quello che c’è scritto. L’attenzione deve sempre essere massima”.