Una volta, tanti anni fa ho provato anch’io qualche esperienza di reportage di guerra.
Per fortuna (o sfortuna) ora faccio un giornalismo più “Casereccio”. Il Massimo che mi può capitare è andare a mangiare in qualche ristorante pubblicizzato ad arte da qualche mio collega “intenditore” e mi viene un forte mal di pancia.
Scherzi a parte, ho sdrammatizato un pochino, ma qui parliamo di colleghi, esposti in diversi fronti che per fare il loro mestiere (io ritengo questi giornalisti di seria A) rischiano e molte volte ci lasciano la pelle.
Come è giusto che sia, l’articolo si trova su Ossigeno per L’informazione e credo che Alberto Spampinato non me ne voglia, se lo allego qui sotto, faccio questo gesto per sensibilizzare i Lettori di CAM.
2016 Annus Horribilis. Battuto il record di giornalisti uccisi
Ma quante sono state le vittime? I bilanci diffusi delle varie organizzazioni internazionali variano inspiegabilmente da 101 a 48 e ciò vanifica l’allarme
L’ecatombe dei giornalisti prosegue inarrestabile. Probabilmente il 2016 sarà ricordato come uno degli anni più sanguinosi dell’ultimo ventennio. Ma non si riesce a comprendere quanti effettivamente abbiano perso la vita mentre erano impegnati a diffondere informazioni di interesse pubblico, esercitando un diritto fondamentale.
Le organizzazioni che tengono il conto di queste vittime forniscono bilanci drammatici, ma divergenti. Si va dalle 101 vittime (una ogni tre giorni) segnalate dall’UNESCO leggi, alle 93 indicate dall’International Federation of Journalists, alle 74 registrate da Reporters Sans Frontieres, alle 80 del “Death Watch” dell’International Press Institute di Vienna, alle 48 del Comitato per la Protezione dei Giornalisti di New York, che segnala gli episodi che risultano confermati alla stessa organizzazione.
Sono tutte istituzioni molto serie e, fra l’altro, collaborano tra loro. Non a caso queste cifre sono riassunte nella newsletter dell’ “United Nation Plan of action on the safety of journalists and the issue of impunity” diffusa da UNESCO leggi.
Questa discordanza appare inspiegabile. Non dovrebbe esserci per dare forza, efficacia, capacità di impatto all’allarme che si vuole lanciare diffondendo questi dati, per creare la dovuta attenzione su questa carneficina e sul pessimo stato di salute della libertà d’informazione nel mondo di oggi, sull’assenza di adeguata protezione per i cronisti e gli altri operatori professionali e di adeguate e concrete misure per superare questa drammatica situazione.
Quando lanciamo questi allarmi, quando facciamo il bilancio di fatti così gravi, quando richiamiamo l’attenzione dei governi su di essi, dobbiamo parlare con assoluta precisione, mostrare a chi si sforza di non vedere queste cose che le grandi organizzazioni, almeno esse, concordano fra loro. I dati che danno la dimensione delle più gravi violazioni della libertà di informazione hanno una forza enorme, hanno una grande incidenza sulle decisioni e sugli orientamenti dell’opinione pubblica. Ma devono essere coerenti. E’ strano che ancora non lo siano ed è triste che non se ne discuta pubblicamente, non si dica che cosa si stia facendo per fornire un bilancio condiviso, come se non si avvertisse il problema.
Questa discordanza si nota anche sul numero e la dislocazione dei giornalisti minacciati e di quelli imprigionati e dice che c’è una confusione di voci.
Di fronte all’ecatombe, all’impunità pressoché assoluta di chi commette questi crimini, all’inerzia delle autorità di governo, gli appelli sempre più drammatici a fare qualcosa si moltiplicano, ma cadono nel vuoto.
Forse le cose cambieranno quando riusciremo a descrivere questi fenomeni in modo univoco. Alla fine dell’Ottocento il mondo moderno, per promuovere i commerci, fece un grande passo avanti creando il Sistema Internazionale dei pesi e delle misure. Dobbiamo fare qualcosa di analogo per difendere le violazioni della libertà di stampa.
ASP
