Incarichi prestigiosi all’estero. Collaborazioni con ospedali inglesi e francesi. E poi la scelta di tornare a lavorare in Italia, Ospedale di Legnano. La storia di Mariangela Panebianco dimostra che quando c’è talento, intelligenza, fatica quotidiana e soprattutto volontà di non farsi sopraffare dalle frustrazioni, la vita ti ripaga di tanta resilienza. Perché questa giovane neurologa, nata in Sicilia 41 anni, ha una storia di raccontare che innesca tante riflessioni. La dottoressa Panebianco si laurea giovanissima all’Università di Catania (sua città natale) nel 2000, ad appena 24 anni con 110 e lode. Si specializza in Neurologia sempre con il massimo dei voti: studia tre anni nella città siciliana, e i rimanenti due anni alla Cattolica di Roma.
“Divento specialista a 29 anni – afferma – terminata la specializzazione inizio a lavorare come consulente neurologo in diverse strutture private, ed anche in contesti di ricerca come il CNR e la Fondazione Scientifica Morgagni con alcune borse di studio. Dal 2005 al 2010, cinque anni di lavoro intenso, matto e disperatissimo, accettando tutti gli incarichi. Ma nulla di definitivo e gratificante. Purtroppo non c’è neanche una famiglia di medici alle spalle di Mariangela. Il nonno contadino. Il padre con un’azienda agricola. Ci sono invece la passione per la medicina e la neurologia, un marito e una piccina di pochi anni: questi i dati di realtà, da cui muovere.
Il giro di boa per Mariangela arriva nel 2010. “Vinco un dottorato di ricerca Internazionale in Neurobiologia, della durata di quattro anni. I primi due anni li trascorro a Catania, poi mi offrono la possibilità di andare all’estero”. Prende la piccola di 4 anni e mezzo e si vola, il marito rimane al suo lavoro in banca: trasferimento nel Regno Unito, Università di Liverpool. “Entro a far parte di un grande team universitario, faccio ricerca scientifica, in particolare utilizzando tecniche di mappatura cerebrale. Divento autore “Cochrane” per l’”Epilepsy Group” ed inizio a pubblicare reviews e a collaborare con autori di tutto il mondo. Sono ancora oggi membro attivo della Cochrane Library International”. Concluso il dottorato firmo un contratto da dirigente neurologo presso il “The Walton Center Hospital”, ospedale universitario, centro di eccellenza nelle neuroscienze.
Vengo inoltre reclutata per scrivere un capitolo di un libro di Neuroanestesiologia per Elsevier, il maggior editore mondiale in ambito medico e scientifico, insieme ad altri autori di fama internazionale. Vado in Francia per due mesi, all’Università Pitié-Salpêtrière di Parigi, portando il mio contributo scientifico ad un studio clinico congiunto sullo stroke”. Nel 2015 il secondo giro di boa nella vita di Mariangela: nel pieno della carriera nel Regno Unito decide di rientrare in Italia. “Decido di lasciare Liverpool e tornare in Sicilia, ma l’università non vuole perdermi, mi offre allora un contratto part-time da ricercatore per l’Istituto di Medicina Translazionale, che mi porta a ritornare a Liverpool a periodi alterni. Oggi sono ancora ricercatore onorario”. All’inizio del 2016 l’incontro con una persona straordinaria, la dottoressa Patrizia Perrone, il mio attuale primario, e il concorso per un posto da dirigente in Neurologia all’Ospedale di Legnano. “Lo vinco e inizio a lavorare qui dallo scorso maggio”.
Il passaggio da un Ospedale universitario ad un Ospedale pubblico per acuti non è indolore. “In Inghilterra i tempi dettati dalla ricerca erano più rilassati, i medici non indossano il camice, ma solo un distintivo di riconoscimento, nessuno manca al briefing del mercoledì, che si conclude sempre con uno spuntino collettivo. L’abito è fondamentale: la volta che ho indossato i jeans ho rischiato di essere sbattuta fuori dal reparto. Ho riparato subito comprando tailleur. Paradossalmente, l’assenza di camice non significa più empatia con il malato. A Legnano ho trovato un ospedale di frontiera, per acuti, dalle risposte rapide e dai ritmi intensi. Usiamo il camice, certo, e sappiamo essere “prossimi” a chi sta male”. La domanda è banale, ma va fatta: “Perché tornare in Italia, dopo tanti riconoscimenti?”.
“E’ difficile dare un’unica, razionale risposta. In Inghilterra ottengo riconoscimenti e prestigio, ma l’Italia mi mancava. Volevo riunire la mia famiglia. Ma forse la motivazione più grande è stata il voler essere riconosciuta e apprezzata in Italia, volevo rimettermi di nuovo in discussione. Liverpool è stata l’esperienza più forte della mia vita. Ho avuto il privilegio di lavorare con professori come Tony Marson, una mente della Neurologia mondiale. I colleghi inglesi mi hanno aperto le porte delle loro case, hanno permesso che mi integrassi totalmente. Sono profondamente grata a tutti loro. Ho avuto il privilegio di far crescere mia figlia in un college, ora ha quasi nove anni ed è bilingue. Sono tornata in Italia arricchita da un punto di vista professionale ma anche umano.
Al tempo stesso oggi sono soddisfatta di essere stata inserita in Italia in un ospedale moderno come quello di Legnano. Sono contenta di aver cercato, ricercato ed essere approdata qui. Sono felice di non aver ceduto alla frustrazione iniziale della professione, quando tutto appariva in salita, con pochissime prospettive, trasformando l’”handicap” in risorsa. Se non avessi mai lasciato la mia terra oggi non sarei quella che sono! Ancora oggi vivo un insieme di entusiasmo, nostalgia e speranza per il futuro”. La dottoressa Panebianco la troviamo ogni giorno al quarto piano area B, divisa fra reparto, neurofisiologia e cura dell’epilessia. Al sabato a Malpensa: destinazione Catania. Il marito e la bimba l’aspettano all’aeroporto. Per loro non sarà mai un “cervello di ritorno”.