Sono molti gli stranieri che cominciano a pensare di non avere fatto una bella scelta nel venire in Italia. Lo avvertiamo parlando con loro. Ci raccontano le loro storie. I primi anni in Italia, terribili.
Oggi, in redazione, è venuto a trovarci un amico. E’ nordafricano e ha 32 anni. Non ha voluto farsi riconoscere, ma la sua storia era di quelle da raccontare. Oggi Abdul ha una posizione a Magenta. E’ sposato, ha un lavoro e ha un figlio. E’ arrivato in Italia a 14 anni da clandestino. Perché? “Perché nel nostro paese si era sparsa la voce che a trasferirsi in Italia c’era il lavoro e si guadagnava bene – racconta – mentre da noi era dura. E così, insieme ad alcuni amici, tutti giovanissimi, siamo partiti per l’Italia”.
Abdul è approdato a Milano. Lui non sapeva una parola di italiano. “Non è stata dura, è stata durissima – continua – Ho pianto tantissimo, non conoscevo nessuno. Sistemavo i carrelli in un supermercato in cambio di qualche moneta. Vivevo per strada. Altro che soldi e lavoro”. La svolta è arrivata dopo tre anni. Quando Abdul è stato fermato dalla Polizia a Milano e portato in una comunità. “Ho imparato l’italiano e mi sono inserito – aggiunge – Non è stato facile, ma sono riuscito a realizzare i miei sogni. Oggi sono felice, ma dovessi tornare indietro non rifarei quello che ho fatto. Non verrei più in Italia e, oggi come oggi, sconsiglierei a tutti di venire in Italia”.
Abdul ci racconta degli anni ’90 nel suo paese. Il mito dell’Europa era troppo forte. Chi tornava dall’Italia, dalla Germania, dalla Francia, esibiva i simboli del successo. I soldi.
E per i ragazzi l’obiettivo era solo uno: imitare chi era arrivato al successo.