La presenza romano-longobarda nei nostri territori si riscontra ancora, ma a Pombia di più. Una passione vecchia la nostra, animata vent’anni fa dai libri di Franco Ferrario e rianimata l’anno scorso dal FAI che aprì il luogo del ‘Ninfeo’ (foto) ma anche altri monumenti di questo antico municipio romano, successivamente sede di una arimannia longobarda, della quale sono rimaste le tombe nell’area della chiesa di San Giorgio ‘degli Arimanni’(vedere mappa).
Franco Ferrario, dietro lo pseudonimo ‘Tripeleff’, raccontò in alcuni romanzi la storia di Odo e Riprando, l’impetuoso e gagliardo vescovo di Novara Riprando da Pombia e il suo giovane amico e segretario, il chierico Odo, addormentati insieme a Domodossola dopo una grande festa popolare. Protagonisti del romanzo, oltre ai due ‘amici’, c’è il castello di Pombia, le cui rovine, sullo sperone naturale che domina la valle del Ticino, sono ancora suggestive. La località è chiamata ancora oggi ‘Castello’ e vi si accede da un ponte (sotto il quale c’è un canalone scosceso) e ci si imbatte in un bastione quattrocentesco (foto), la cui base altro non è che l’antica torre del castello. E’ riconoscibile dalla bella finestra in cotto quattrocentesca, quando è stata adattata ad abitazione. Continuando per l’unica stretta via Castello che attraversa il quartiere, si arriva alla piazzetta dominata da un bel palazzo rinascimentale, probabilmente innalzato dove sorgeva la casa dei conti di Pombia. Procedendo lungo la strada verso la chiesa di San Vicenzo in Castro, attraverso un cortile sulla destra si accede al famoso ‘Ninfeo’, salvato dalla rovina dalla fonte perenne che è sempre stata usate ne secoli dai contadini. Arrivati nel piazzale della chiesa si è colpiti dalla maestosità del campanile, realizzato utilizzando la parte inferiore di una torre del castello. Le altre torri sono difficilmente identificabili in quanto inserite in successivi palazzi. Dal basso, però, nella posizione dominante dove un tempo di ergeva il castello le rovine riescono ancora a dare l’impressione di quello che fu il castello dei conti di Pombia.
LA ‘SAL’ LONGOBARDA. Scrive il Cavanna che a Pombia sul Ticino, c’era un toponimo, ora scomparso (Consignationes del 1347: ubi dicitur in sala…) . L’importanza di questo castrum doveva essere legato alla funzione di presidio e vigilanza della strada romana del Sempione. Inoltre, il rinvenimento a Mezzomerico di un ripostiglio di monete di Desiderio, re dei Longobardi, proveniente dalla zecca di Flavia Plumbiate insieme ad altre di Flavia Novate (la longobarda Castel Novate, di fronte a Pombia, sull’altra sponda del Ticino) e di Flavia Sibrium conferma l’omogeneità d tale area dove Pombia era centro militare longobardo e sede di zecca regia. Non stupisce perciò che la toponomastica ricordi ‘Sala’ (casa da nobile), ossia il luogo di fissa dimora e di acquartieramento delle diverse ‘fare’ longobarde territorializzate e ne designò quindi, per altro verso, il possesso terriero. Quindi ‘Sala’, nel suo significato primo, indicò la dimora del longobardo, ma in seguito assunse quello di casa signorile.
FOTO 1 – mappe che individua geograficamente Pombia, ai piedi del lago Maggiore; 2 – il territorio di Pombia; 3 – ll bastione quattrocentesco, antica torre del castello; 4 – Il ninfeo nella foto in evidenza nel giorno di apertura dl FAI