Ho corso due volte a Milano e per due volte mi sono trovato malissimo. La Stramilano nel 2016 e l’anno dopo la maratona. Corse in sofferenza atroce dal primo all’ultimo chilometro. Colpa di Milano? No di certo, anzi è bello vivere una Milano diversa dal solito. Tutta per chi corre e non per le auto. Semplicemente non era il periodo. Non c’è il due senza il tre e quest’anno torno a Milano per la classicissima Stramilano Half Marathon, ma a differenza delle due precedenti esperienze tutto è andato per il meglio.
Un mese che mi alleno e 21 km li ho fatti senza soffrire ad un ritmo di 4’45” al km, con il mio Garmin che misurava 300 metri in più sulla distanza classica. Colpa mia che non avrei seguito il percorso omologato, allungando il tragitto. Questo mi spiegano all’arrivo alcuni che se ne intendono. Atmosfera bella. Settemila partecipanti, banda dei Carabinieri, fanfara dei Bersaglieri, Justine Mattera, che vedo su Bike Channel, partecipante e madrina della corsa e africani in prima fila a dare il ritmo. Io parto tranquillo e, dopo un chilometro, mi attacco ai miei compagni di squadra. Tento di star dietro a loro finché dura, tanto so che non sono in grado. Loro sono più allenati. Ma non fa niente. Dopo pochi chilometri dall’altra parte arriva il treno degli africani. Li guardo. Sono solo loro davanti.
Kenya, Eritrea, Etiopia, Ruanda. Uomo bianco demolito anche questa volta. Si percorre la parte esterna di Milano con tanti bambini che ti danno il cinque. E’ migliorata la situazione mentale del milanese imbruttito che, fino a qualche anno fa, sacramentava alla solo vedere una strada bloccata la domenica mattina per una inutile corsa. Passo al decimo chilometro tra i 46 e i 47 minuti e non sono per nulla stanco. Buon segno, alla fine ci arrivo. 21km e 400 metri segna il mio cronometro e io credo solo a lui. Una quarantina di minuti dopo gli africani. Do il cinque ad un collega runner che non conosco. E indosso la medaglia. La seconda dopo il 2016. Ma questa è più bella. Garantito.