C’erano tante agende rosse a corollario della serata del 14 maggio che ha visto Salvatore Borsellino tratteggiare – in due ore fitte, inframmezzate da pochi attimi di emozione – la storia della sua famiglia, dal momento in cui – il 19 luglio 1992 – il fratello Paolo fu ucciso a Palermo dalla mafia.
Solo 57 giorni dopo l’altro tremendo attentato a Giovanni Falcone che moribondo passò il testimone a Paolo Borsellino con uno sguardo intenso negli occhi. Da qui la morte prevista del ‘fratello’ di Falcone. Ad assassinio compiuto la madre disse ai fratelli rimasti in vita: “Adesso voi dovete andare a parlare ai giovani per tenere viva la memoria di Paolo, il suo impegno, il suo amore per Palermo, la città che ha tanto amato”. “La città più bella del mondo – la culla del liberty di Basile – prima che la criminalità se la divorasse. La conca d’oro, dove fiorivano arance e limoni, è stata cementificata e Vito Ciancimino che firmò 9000 licenze edilizie in una sola notte”, dice Salvatore che, una volta laureatosi in ingegneria, si rifugiò al Nord (attualmente abita ad Arese), diversamente da Paolo che restò sul campo a combattere.
La serata è stata introdotta dall’assessore alla Sicurezza, Davide Scalzo, che ha ringraziato i sindaci presenti e tutti coloro che hanno reso possibile l’incontro con Salvatore Borsellino al quale non è mancata la carica politica e l’invocazione alla ‘rete’ come spazio di verità, nel solco del credo ‘grillino’ (www.19luglio1992.com).
L’agenda rossa è stata il filo conduttore della serata in quanto Salvatore ha detto chiaramente che fu sottratta dal borsa del fratello il giorno dell’attentato. Conteneva le testimonianze dei collaboratori di giustizia sulla trattativa Stato-Mafia. E ha citato i nomi di alcuni dei ‘protagonisti’: il giudice Mimmo Signorino che si suicidò poco dopo l’assassinio di Borsellino, Bruno Contrada, ma anche il ministro Mancino che incontrò il magistrato il 1° luglio ’92 e non vuole ammetterlo (sembrerebbe che in tale colloquio il ministro ordinò al magistrato di fermare le indagini sulla morte di Falcone, proprio per dare sostegno alla trattativa in corso). L’agenda rossa – sul cui simbolo è nato il movimento guidato da Salvatore Borsellino – rappresenta la giustizia negata, la prova di quel rapporto Stato-Mafia che nessuno vuole ammettere, ma che per Borsellino è esistito nei fatti criminosi del tempo seguiti alla morte dei due magistrati-eroi.