Nel 2019 cadrà il cinquecentesimo anniversario della morte di Leonardo Da Vinci. Infatti, egli scomparve il 2 maggio 1519 (19 maggio, secondo il calendario gregoriano) ad Amboise, in Francia, dove si trovava ospite di re Francesco I (1494-1547) che l’ammirava immensamente, sia come artista sia come filosofo.
Leonardo è ormai giudicato l’italiano più celebre al mondo e la Gioconda è il quadro più famoso, noto dalla Cina all’Alaska.
Per celebrarlo sono in cartellone un gran numero di eventi sui Cinque
Continenti: conferenze, mostre e centinaia di nuovi libri che verranno stampati: ma tutti questi ci offriranno un’immagine stereotipata del genio toscano, quasi che sia vero che egli tutto capì, tutto vide e tutto descrisse. In pratica faranno a gara per mostrarcelo come un personaggio apollineo, tutto luci e niente ombre.
Apparentemente, un solo libro, edito dalla casa editrice Gingko e scritto da Angelo Paratico, ci offre un accenno alle sue profonde ombre, mostrando le sue contraddizioni e le esagerazioni. Questo libro s’intitola “Leonardo Da Vinci. Lo psicotico figlio d’una schiava.”
A ben guardare, Leonardo ebbe una vita da psicotico e da frustrato, non serena e felice come potremmo credere. Come ebbe a scrivere Lauro Galzigna (1933-2014) sintetizzando il concetto che vien descritto in questo libro: “Nella comunità umana sono considerati geni gli individui di ingegno superiore, capaci di grandi scoperte ricordate dalla posterità… Vedere ciò che è nascosto ai comuni mortali può essere infatti un premio o una punizione riservata a chi è uscito dalla normalità per addentrarsi, più o meno profondamente, nei sentieri della follia… La pittura in generale è una pratica a cui concorrono perizia artigianale, attività percettiva e capacità di elaborarne i risultati con i contributi della memoria e dell’inconscio. Essa si basa sulla manipolazione di immagini contenenti significati e valori occulti esplicitati secondo un simbolismo e con colori simili o diversi dai colori della natura… In fondo, l’opera di un genio si può considerare speculare al delirio di un folle, in quanto entrambe esprimono una sorta di acting out che origina dal rapporto dei due individui in questione con il mondo.”
Questa citazione spiega bene la follia di Leonardo. Perché alla luce delle nostre conoscenze, egli fu uno psicotico, forse a causa di forti traumi di natura sessuale da lui subiti in gioventù, come distintamente sospettò Sigmund Freud, nel suo classico saggio intitolato “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci” uscito nel 1910. Chi fu il colpevole degli abusi? Forse il patrigno, Antonio Buti, soprannominato l’Accattabriga, un manovale, ex mercenario, al servizio del padre biologico di Leonardo, ser Piero Da Vinci.
Ci dicono gli esperti che circa l’ottanta per cento degli abusi sui bambini accadono in un ambiente domestico e che chi è oggetto a un grave abuso infantile, ritrovandosi con le proprie mappe mentali disturbate, si trasformerà a sua volta in un abusatore di ragazzi, se non verrà opportunamente trattato.
Leonardo Da Vinci, figlio d’una schiava domestica con probabili radici orientali (a quel tempo in Toscana la gran parte di schiave domestiche erano tartare, importate dalla Crimea via Genova e Venezia) non poté mai aspirare all’essere legalmente accettato nella famiglia notarile dei Da Vinci; la prova di ciò sta nel fatto che fu battezzato con il nome di Leonardo, non presente in precedenza nel loro albero genealogico. Ser Piero da Vinci, il ricco notaio con pochi scrupoli, donnaiolo e scalatore sociale, visse a Firenze, mentre il piccolo Leonardo rimase a Vinci, in balia del patrigno e con una madre, come Caterina, che forse fece di tutto per proteggerlo e viziarlo. Questo eccesso di protezione da parte materna e di violenza da parte maschile lo rese un narcisista dalla personalità divisa, che si poneva degli obiettivi intrinsecamente irraggiungibili, che poi alimentarono la sua inestinguibile insoddisfazione. Egli fu certamente uno psicopatico, la cui mente fu plasmata dalle proprie sventure infantili, un po’ come per altri importanti personaggi storici, sorti dal nulla ma tutti caratterizzati da una forza di emergere quasi sovrumana.
Uno dei sintomi della sua nevrosi ci pare il fatto che non legò mai con nessuno, nel senso comune del termine, a parte i suoi giovani allievi. Leonardo conobbe, collaborò, discusse, ma non si mischiò mai a livello umano con nessuna donna o nessun uomo in particolare.
Quando la sua maestria artistica venne riconosciuta, con la possibilità di essere monetizzata, il padre lo mise a bottega dal Verrocchio, anche lui appassionato di “amor greco.” Leonardo, con altri ragazzi suoi coetanei, fu arrestato per aver sodomizzato un diciassettenne, tale Jacopo Saltarelli. Se la cavarono per il rotto della cuffia, grazie ai contatti altolocati di uno di loro, ma Leonardo deve aver ricevuto il più grande shock della propria esistenza.
In seguito, non troviamo donne nella sua vita, ma solo i discepoli presi a bottega ancor piccoli e, come notò Paolo Giovio che lo conobbe di persona, assunti più per la loro bellezza fisica che per la loro abilità artistica.
Pensiamo che Leonardo soffrì d’uno sdoppiamento della propria personalità: negò e nascose le proprie umili origini, senza mai accennarvi nei suoi scritti e cercò in tutti i modi di trasformarsi nel più grande dotto esistente, in un mago alla Albus Dumbledore di Harry Potter e in un magnifico principe. Tutta la sua vita può essere vista come un incessante lavorio, un fervore assoluto, per elevarsi, per distinguersi e staccarsi da quei “riempitori di latrine” dei suoi contemporanei. Fu questo suo senso d’inadeguatezza che gli consentì di salire sopra a vette mai prima esplorate ma, una volta giunto alla loro sommità, non vi trovava alcun appagamento alle proprie turbe interiori, perché dietro a ogni vetta ne sorgeva una più alta, che lo costringeva a riprendere l’ascesa.
Ambrogio Bianchi