Riceviamo questa lettera, che ci fa particolarmente piacere e ci dimostra che col nostro modo di lavorare siamo sulla strada giusta, quella del giornalismo libero.
Buonasera,
sono Paola Colombini e sono la nipote di Ambrogio Colombini, fratello di mio papà e giovane che, come Virginio Magna, è stato ucciso a Magenta in una tragica giornata del 1944, durante la Fiera di San Biagio.
Desidero ringraziare di cuore la Redazione CAM e la sig.ra Giuliana Labria, per aver ricordato in occasione del 75° anniversario questi drammatici eventi ed i due ragazzi, la cui vita è stata così precocemente, assurdamente e tragicamente spezzata, a causa dei perversi e folli meccanismi propri della politica e della guerra.
Della vicenda io non ho mai saputo molto, a parte qualche sporadico e frammentario racconto di alcuni familiari, tra cui la mia nonna, cioè la mamma di mio papà, degli altri zii e di Ambrogio.
Come Virginio Magna, anche questo zio che non ho mai conosciuto veniva chiamato “Gino” ed è morto molto giovane, non aveva infatti ancora compiuto diciotto anni, quando è stato ucciso.
Leggere la testimonianza della mamma della sig.ra Labria, che era presente ed ha vissuto di persona quei terribili momenti, mi ha profondamente toccata.
Come dice Giuliana (mi permetto di chiamarla per nome), questo racconto diretto è davvero un tesoro prezioso, da custodire con cura ma nello stesso tempo da far conoscere il più possibile a chi non c’era.
Le parole della sua mamma, spontanee e dialettali, arrivano infatti come una staffilata al cuore, permettono di ascoltare le voci, i suoni, i rumori, di vedere i volti, le espressioni, i gesti, di sentire dentro di sé tutta la concitazione, la paura, lo sgomento, la rabbia, l’ingiustizia, il dolore, comprendendo così fino in fondo l’assurdità e la tragicità di quanto è successo.
E ciò è molto importante.
A qualcuno, gli eventi accaduti e narrati potrebbero sembrare ormai lontani, passati, “da libro di storia”, quando non addirittura normali e giustificabili, considerando il contesto di guerra in cui sono accaduti.
Ma non è così.
C’era una comunità. C’erano delle persone semplici, umili, buone, forti ed oneste, che vivevano e lavoravano con fatica e rispetto dell’altro. C’erano dei cortili, fatti di condivisione, di aiuto reciproco e di buon vicinato, come se si fosse tutti una grande famiglia. C’erano degli amici, che si volevano bene. C’erano dei giovani che, nonostante la guerra in atto, avevano voglia di stare insieme e di fare festa.
C’erano dei principi e dei valori. C’era il bene.
C’era un piccolo mondo normale, come potrebbe esserlo quello di ciascuno di noi.
Ma, all’ improvviso, tutto è cambiato.
Ad un certo punto, in questo piccolo mondo normale, è successo qualcosa che di normale non aveva proprio nulla. Qualcosa che ha sovvertito e spezzato le logiche, i ritmi, le abitudini, gli affetti.
In un momento, si è scatenato il male.
Un giorno, in questo piccolo mondo normale, che potrebbe essere quello di ciascuno di noi, in questa comunità di esseri umani che prima si rispettavano e si aiutavano tra loro, qualcuno ha incominciato a sentirsi superiore e migliore degli altri, in nome della divisa che indossava e del fucile che imbracciava.
Ed ha iniziato una guerra, contro coloro che riteneva diversi, inferiori, che magari la pensavano in un altro modo o che, come nelle parole rivolte da una donna all’assassino di Virginio Magna, potevano essergli fratelli.
Allora, nulla è stato più come prima. E quello che c’era, non c’è stato più.
Nella piccola comunità di uomini buoni e forti hanno iniziato a serpeggiare l’odio, l’intolleranza, i sospetti, la paura e la morte.
Senza alcuna ragione plausibile e senza averne il minimo diritto, qualcuno, in un tragico attimo, ha stroncato la vita di due giovani pieni di energie, progetti, sogni e speranze per il futuro.
Due famiglie a cui, insieme ai loro ragazzi, è stata brutalmente strappata anche l’anima, non sono più state le stesse.
Quel tragico giorno, il buio è calato su Magenta.
Ma anche sulla comunità, sull’umanità intera e, soprattutto, nei cuori di chi è rimasto.
I miei nonni, gli altri zii, i parenti stretti e mio papà, hanno reagito alla tragica morte di Gino con una dignità davvero esemplare, ma pagandone un prezzo altissimo, perché un simile, improvviso, violento ed ingiusto dolore, ha inevitabilmente provocato una ferita che non si è rimarginata più, per il resto della vita.
Papà all’epoca dei fatti aveva sedici anni; dopo la drammatica perdita del fratello maggiore non parlava mai di quanto accaduto ed ha condotto un’esistenza apparentemente normale.
Ma la sofferenza lo ha logorato a poco a poco, fino a diventare una delle cause di quella terribile malattia che è l’Alzheimer, di cui ha sofferto negli ultimi anni di vita (è mancato nel 2014) e che gli ha cancellato ricordi forse diventati ormai troppo pesanti e dolorosi da sopportare.
Ed è in definitiva questo, ciò che rimane, dopo atti scellerati come quelli compiuti a Magenta, in una tragica giornata del 1944, in nome di uno schieramento e di una divisa.
Questo è quello che, da qualsiasi parte provengano ed in qualsiasi forma si esprimano, generano sempre l’intolleranza, l’odio e la violenza.
Due giovani vite stroncate, in un attimo atroce ed assurdo.
E, per chi è rimasto, un dolore senza fine.
Allora, affinché ciò non accada più, come dice giustamente Giuliana fa davvero bene a tutti tener sempre presente e ricordare queste cose.
Quindi, di cuore, ringrazio ancora una volta lei, la sua mamma a cui mando un affettuoso abbraccio (ha l’età del mio papà, se egli fosse ancora qui) e la Redazione CAM, per aver ricordato.
Paola Colombini