In tema di separazione e divorzio, una recente ordinanza della Suprema Corte ha confermato che se l’impossibilità di un coniuge di mantenersi è diretta conseguenza della sua scelta di abbandonare il precedente lavoro, costui o costei perde il diritto al mantenimento (Cass. civ., sez. VI, ord. 18.10.2019 n. 26594).
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Giudizio di divorzio (“cessazione degli effetti civili del matrimonio”) davanti al Tribunale di Verbania. Moglie, marito e due figli. In questa sede alla moglie, D. V., viene riconosciuto un assegno a titolo di mantenimento pari ad € 200,00 mensili (la stessa, tuttavia, dovrà a sua volta versare € 200,00 mensili al marito, S. M., a titolo di mantenimento dei due figli a lui assegnati).
L’ex marito, S. M., propone appello d’innanzi alla Corte di Appello di Torino, lamentando come l’ex moglie anteriormente percepisse circa € 10.000,00 annui dalla sua attività di commessa in un supermercato; attività poi però dalla stessa abbandonata in ragione della sua volontà di trasferirsi dal Comune di Verbania – ridente cittadina sulle sponde del lago Maggiore – alla Calabria, ove ancora oggi risulta senza occupazione. Contestualmente l’ex moglie, D.V., proponeva appello incidentale, domandando viceversa un aumento dell’assegno di mantenimento “a 350 euro mensili” in ragione, tra gli altri aspetti, della sua nuova situazione economica più disagiata.
La Corte di Appello di Torino accoglieva l’appello principale del Sig. S. M., e respingeva invece quello incidentale della ex moglie. Veniva così revocato l’assegno di mantenimento precedentemente disposto in favore della moglie. La ragione: si considerava che “la stessa è ancora in giovane età e ha dimostrato di avere piena capacità lavorativa”, sicché – statuiva la Corte – doveva ammettersi che “uno stato di bisogno che giustifichi il contributo al mantenimento da parte dell’ex coniuge non sussista perché, semmai esistente, esso è stato causato da una precisa volontà della Sig.ra D. V. che ben avrebbe potuto continuare a svolgere la sua attività lavorativa ed eventualmente cercarne nel frattempo una redditizia o [comunque, ndr] consona alle sue esigenze personali”.
Proponeva ricorso in Cassazione l’ex moglie, riproponendo le medesime argomentazioni. La Suprema Corte di Cassazione, però, confermava in toto la pronuncia della Corte di merito Torinese, rimarcando: “Nella specie la Corte di appello ha rilevato che l’impossibilità, semmai esistente, di procurarsi i mezzi adeguati […] non dipende da incapacità lavorativa o da fattori esterni alla volontà del coniuge richiedente l’assegno ma dalla libera scelta della sig.ra D. V. che ha deciso di abbandonare l’occupazione lavorativa che le assicurava un reddito fisso […]”.
La decisione degli ermellini qui descritta, in sintesi, funge da valido pretesto per denotare l’attuale trend del nostro ordinamento di ammettere la fine del rapporto coniugale con conseguenze, per così dire, molto soft.
L’oggettivo sentore, infatti, è quello per cui nelle aule di Tribunale si tenda sempre più a lasciare andare i coniugi ciascuno per la propria strada, limitando per quanto possibile strascichi di carattere economico. In quest’ottica, infatti, la pronuncia qui esaminata si pone in linea con le recenti e più note decisioni Cass. civ., sez. I, sent. 10.05.2017, n. 11504 e Cass. civ. S.U., sent. 11.07.2018 n. 18287 che hanno di fatto sgretolato il precedente “tenore di vita” quale parametro valutativo del diritto al mantenimento in favore di un criterio di valutazione composito e meno cospicuo.
Avv. Davide Pistone