La crescita debole dell’economia nazionale trova l’ennesima, anche se autorevole conferma, nel rapporto di Banca d’Italia “L’economia delle regioni italiane. Dinamiche recenti e aspetti strutturali” presentato nella sede milanese dell’Istituto. Non solo: il nostro Pil prosegue la diversificazione, in negativo, rispetto alla media europea, ma all’interno del Paese la diversificazione si accresce tra le macroaree, con il Mezzogiorno che si allontana sempre di più.
E poco conta che anche qui sia diminuita la povertà.
I lavori sono stati aperti da Giuseppe Sopranzetti, Direttore della Sede di Milano della Banca d’Italia e sono proseguiti con gli interventi di:
Emanuela Ciapanna, Servizio Struttura Economica – Banca d’Italia;
Alessio D’Ignazio, Servizio Struttura Economica – Banca d’Italia;
Lucia Tajoli, Professoressa di Politica Economica presso il Politecnico di Milano;
Andrea Boitani, Professore di Economia Politica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Conclusione di Paolo Sestito, Capo del Servizio Struttura economica – Banca d’Italia.
Nel 2018 la dinamica del PIL, pur rimanendo positiva, ha rallentato in tutte le macroaree del Paese. Secondo le stime preliminari dell’Istat pubblicate lo scorso giugno, il PIL a valori concatenati è cresciuto a ritmi più intensi nel Nord Est rispetto al Nord Ovest e al Centro e, soprattutto, al Mezzogiorno.
L’indicatore trimestrale dell’economia regionale (ITER) elaborato dalla Banca d’Italia evidenzia un indebolimento della dinamica nella seconda parte dell’anno in tutte le aree; il fenomeno si è manifestato più intensamente nel Mezzogiorno e nel Nord Ovest.
La tendenza al rallentamento si sarebbe confermata nel primo semestre del 2019: rispetto al periodo corrispondente del 2018 l’attività economica sarebbe lievemente aumentata nel Nord Est e nel Centro, si sarebbe mantenuta stabile nel Nord Ovest e avrebbe mostrato un lieve calo nel Mezzogiorno.
Nel Mezzogiorno rimane ampio il ritardo rispetto al resto del Paese. Con riferimento al 2018, il PIL risulta ancora di circa dieci punti percentuali inferiore a quello del 2007 nel Mezzogiorno, di quasi tre nel Centro Nord.
Anche in termini di prodotto pro capite il ritardo rispetto al 2007 è maggiore nel Mezzogiorno rispetto al Centro Nord (rispettivamente 10 e 7 punti percentuali) ma la differenza tra le due aree risulta meno marcata, soprattutto per via della diversa intensità dei flussi migratori in uscita e in entrata (rispettivamente maggiori e minori al Sud rispetto al Centro Nord).
Pur restando su un sentiero espansivo nel dato nazionale complessivo, l’impiego di lavoro ha sostanzialmente ristagnato nel Mezzogiorno. Nel 2018 i consumi hanno decelerato ovunque, presumibilmente risentendo del clima di maggiore incertezza della situazione economica.
In questo quadro spiccano elementi di indubbio interesse. Pure le regioni-traino del Centro-Nord si sono sviluppate meno della media europea, anche se si registrano dati positivi, quali l’aumento della compravendita di abitazioni, del turismo, del risparmio delle famiglie, degli stessi investimenti, che però restano lontani dai livelli precrisi. Ma tutto in misura inferiore a quella dei Paesi competitors.
Infine. Il rallentamento generale dell’economia continentale ha riflessi più pesanti per l’Italia.
Al centro dell’ attenzione degli analisti permane il nuovo allargamento della forbice Nord-Sud che potrebbe avere serie ripercussioni in campo socio-politico, condizionando i risultati della più o meno prossima competizione elettorale. E non appare di buon auspicio per la riduzione delle disuguaglianze l’ autonomia differenziata auspicata da alcune regioni ricche.
Anche se va detto (ndr) che la diseguaglianza vale negativamente solo in termini relativi e non in termini assoluti.
Foto:
– Giuseppe Sopranzetti con Achille Colombo Clerici pres. di Europasia
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