ALTOMILANESE – I lavori in fase di ultimazione sul Canale Villoresi prima dell’avvio della stagione irrigua estiva 2021 – l’acqua rientrerà in alveo a partire dal 15 aprile sino ad Arconate e dal 19 aprile nel tratto finale – hanno ricevuto nell’ultima settimana una significativa attenzione da parte dei social media.
In questi giorni sono stati pubblicati centinaia di commenti, digitati migliaia di caratteri; segno questo che lo storico canale è oggetto di grande attenzione da parte del pubblico anche a prescindere dalla fruizione delle sue alzaie.
Il dibattito è stato acceso, stimolante, caratterizzato da un fil rouge legato alla relazione ambiente-ecologia-paesaggio: tre temi che da sempre guidano l’attività consortile nell’erogazione dei servizi istituzionali di distribuzione di acqua al mondo agricolo e di conservazione ed incremento del capitale naturale disponibile.
Occorre, preliminarmente, sgombrare il campo da un equivoco di fondo: le lavorazioni eseguite sulle sponde e sul fondo del canale non hanno alcun impatto sulla qualità delle acque che vi scorrono all’interno.
Questo perché le soluzioni tecniche scelte in fase di progettazione discendono da ricerche e approfondimenti condotti fin dagli anni ‘60 del XX secolo (i maestri storici dell’uso del bitume sono gli olandesi: così hanno impermeabilizzato le loro dighe che difendono intere regioni dalla subsidenza rispetto al mare), volti a studiare il rapporto tra acque (fluenti e non) e asfalto e/o materiali similari che ne contengono lo scorrimento.
I lavori realizzati in questa occasione sono del tutto analoghi a quelli effettuati negli ultimi anni. Il Consorzio opera infatti sul Villoresi in tal modo da oltre un decennio: per fare un esempio, gli interventi in previsione di Expo Milano 2015 attuati nel tratto Groane (oltre 4,5 km) senza che questi abbiano suscitato allora né mai particolari reazioni o osservazioni né per gli aspetti ecologici (considerati anche gli esiti positivi dei campionamenti e delle analisi svolte sulle acque) né tanto meno per il presunto “impatto paesaggistico”.
A tale proposito va sottolineato come il progetto in corso di attuazione sia stato approvato a seguito di Conferenza di servizi, con i pareri, tra gli altri, della Sovrintendenza per i beni archeologici e del paesaggio sia di Milano che di Varese, del Parco Lombardo della Valle del Ticino, di tutti i Comuni interessati – che si sono espressi anche per conto di diversi Parchi ed Associazioni del territorio – di Regione Lombardia e di Città Metropolitana.
Come appunto in altri lavori già eseguiti, anche in questo caso il fondo del canale è stato rivestito con un “asfalto bituminoso idraulico”, termine che indica una miscela di materiali simili all’asfalto stradale con una percentuale di bitume – che è il collante – più che doppia rispetto a quest’ultimo: solo in tale dosaggio, infatti, è garantita la “chiusura” delle porosità che naturalmente si creerebbero tra gli elementi del “pietrischetto” che costituisce la materia base della pavimentazione.
L’asfalto di un canale non deve resistere a particolari carichi (a differenza di quello stradale), non deve garantire grip ai pneumatici dei mezzi che frenano o curvano; deve essere piuttosto sufficientemente elastico da seguire i naturali movimenti del terreno sottostante in modo da evitare la formazione di quelle fessurazioni che invece si creerebbero con una pavimentazione cementizia.
Il betoncino proiettato a secco (in gergo spritz-beton) che viene utilizzato per il rivestimento delle sponde rappresenta un materiale di elevatissimo pregio tecnico, poiché con uno spessore di pochi centimetri offre durabilità ed impermeabilità all’acqua estremamente elevati: richiede però lunghi tempi di realizzazione e la sostanziale impossibilità di essere “calpestato” dai mezzi per un lungo periodo dopo la posa in opera.
Per tale motivo dagli anni ‘90 in poi si è cercata (e trovata) una soluzione alternativa al calcestruzzo per il rivestimento del fondo, che consentisse tempi di posa ridotti, facilità di manutenzione e maggiore resistenza al transito dei mezzi di manutenzione.
Un elemento non trascurabile, inoltre, è rappresentato dalla “ecologicità” dell’asfalto: gli interventi futuri, quando mai saranno necessari, vedranno la possibilità di riutilizzare in composto una significativa aliquota del materiale fresato (ovvero rimosso dal fondo prima di passare alla stesura del nuovo strato) così da limitare il riscorso a materiale di cava, favorendo il riutilizzo di materie che altrimenti sarebbero destinate allo smaltimento.
Questa valutazione, nel caso di specie, è stata particolarmente enfatizzata in fase di scelta dell’appaltatore: uno dei principali criteri tecnici posto alla base del confronto tra le imprese è stato infatti quello di proporre (e poi anche dimostrare) una miscela di asfalto che massimizzasse il quantitativo di materiale riciclato all’interno del composto finale in maniera da “spingere” al massimo la sostenibilità ecologica della soluzione tecnica offerta.
Per queste motivazioni i timori sollevati nella ridda di dubbi, domande, affermazioni e controdeduzioni vista negli scorsi giorni hanno lasciato sereno il Consorzio: sono state le medesime perplessità che molto tempo fa hanno spinto ad effettuare approfondimenti scientifici, test e verifiche prima di validare la tecnica di intervento.