Fu da una pergamena del 1150 pubblicata su ‘Contrade Nostre’ (vol. I, 1978) che si scoprì che la famiglia de’ Seniores de Turbigo doveva essere molto ‘rispettabile’ perché oltre ad essere ‘padrona’ a Turbigo dava ai suoi vassalli dei feudi in altre parti. Difatti la pergamena citata tratta dell’investitura di un feudo in Vico Maggiore (oggi territorio di Lacchiarella) che i Capitanei di Turbigo, Wifredo, Pagano. Obizone, Carnelevario, fecero ai fratelli Malgirone e Strametto. L’atto notarile fu firmato nel primitivo castello dei Capitaneis de Turbigo allora posto accanto al ponte in pietra (foto). Tale insediamento che si affaccia oggi sul Naviglio (di proprietà Garavaglia) porta ancora in alto degli archetti romanici residui dell’antico fortilizio, mentre sulla facciata verso il Naviglio – quando la luce si infiltra a raso – appare un omone seduto su una roccia con le braccia spalancate. Un antico affresco ormai diventato un fantasma come lo stemma araldico posto dirimpetto al ‘Castellaccio’, perché così è chiamato il sito, ancora oggi, dai vecchi turbighesi. L’area fu abbandonata quando i Torriani nel XIII secolo costruirono l’attuale castello, area fortificata sulla quale in seguito si insediò quella che oggi chiamiamo ‘Vecchia Dogana’.
MA CHI ERANO I CAPITANEIS?
Che Turbigo avesse dei ‘Capitani’ nella storia medievale l’abbiamo documentato pubblicando una serie di pergamene dell’XI secolo che li citano più volte. Bonvesin de la Riva (De Magnalibus Mediolani, Milano, 1974) scrive nel 1288 e dice che i Capitanei facevano parte della nobiltà più alta di quella dei Valvassori ed erano indicati come i Capi delle Pievi. Possedevano i diritti di decimazione e abitavano in determinati luoghi, anche minori, della pieve. Il castello rappresentava il centro signorile e feudale che dava il nome alla famiglia del Capitaneo della pieve che poteva essere diverso e distante dal luogo dov’era insediata la sede pievana: il caso di Turbigo rispetto a Dairago è emblematico. Quindi la regola era che il potere civile e quello religioso non coincidessero e non interessassero nemmeno le stesse aree territoriali. In genere, a questi Capitanei (erano una sessantina nella Diocesi di Milano), al momento in cui veniva a loro infeudata una pieve, non veniva data la giurisdizione come invece risulta avessero i Nostri.
CINZIO VIOLANTE, Pievi e Parrocchie dell’Italia Centrosettentrionale in “Le istituzioni ecclesiastiche della ‘Societas Christiana’ dei secoli XI e XII, Diocesi, Pievi, Parrocchie, Milano 1977.
Nel caso dei Capitanei di Turbigo oltre ad essere il punto di riferimento civile della pieve di Dairago avevano il ‘potere’ anche sul castello di Biandronno dove possedevano anche l’honor e il districtus i due elementi che costituivano la giurisdizione (che dal Trecento si sarebbe legata alla proprietà), alta giustizia dunque che l’imperatore assegnava a pochissime le famiglie, quasi tutte comitali, come i conti Corio.
Petitiones in Castroseprio in loco de conte. Si tratta di una lunga pergamena della metà del XII secolo che mette “in primis castrum de Blandronno est Alcherii et Ferrarii, et Tremonis et Capelli universaliter cum districto et honore et castellantia; et est istud castrum de tribus territoriis, primo de comitibus de Castro Seprio, secundo de Capitaneis de Turbigo, tertio de illis de Comignago, in integrum totum de istis tribus territoriis”. Si citano i diritti feudali che i Capitanei di Turbigo, insieme ad altri, avevano sul castello di Biandronno che fu distrutto nel 1161 dal governatore imperiale di Varese nominato da Federico Barbarossa. Inoltre, nella pergamena si citano alcuni toponimi come: Baxadonna e Ecclesia de Insula de terra di Turbigo, difficili da identificare in loco.
FOTO Il primitivo castello di Turbigo, sede dei Capitaneis dell’XI secolo (alcuni archetti romanici – indicati dalla striscia di luce – ne documentano la vetustà) presenti in molte pergamene del tempo