Luigi Scotti è uno dei pochi rimasti a coltivare il gene della ‘turbighesità’, una malattia che prende solamente quelli che hanno ricevuto il palpito della vita nel paese degli antenati e ne coltiva la memoria cercando le memorie nel web. Aveva già rinvenuto il documento che attesta la nascita del convento degli Agostiniani Scalzi (1635) a Turbigo e ora ci ha inviato un testo di Serafino Ricci (1867-1945) in cui si registra il rinvenimento di una necropoli alla Galizia nel 1904 – dello stesso periodo di quella di Inveruno, scoperta nel 1999 – il campo posto davanti all’entrata di Induno (nelle vicinanze dell’omonimo Agriturismo), due vaste necropoli che ci fanno intendere dove fossero insediati i villaggi gallo-romani sulla riva sinistra del Ticino nel I-II secolo d.C.
Negli ‘Atti dell’Accademia dei Lincei’ anno CCCI (1904), serie quinta, ‘Notizie degli scavi di antichità’, volume I (Roma, 1904), con inizio alla pagina 376 si parla della ‘Necropoli della Galizia’, che l’autore dice di essere collocata a 3,5 Km da Turbigo, probabilmente perché il riferimento era la stazione ferroviaria e il proprietario del fondo un turbighese. Difatti inizia così la sua lunga relazione della quale pubblichiamo una parte:
“A Km 3,50 da Turbigo (Milano), in basso, a valle, scorgesi la cascina Gallizia, che ha dietro a sé un piano piuttosto esteso, coltivato a gelsi e a fieno, segnato al n. 1961 della mappa catastale, spettante al sig. Paolo Grassi, proprietario della nota conceria di pelli per guanti di Turbigo.
In una prima visita sul luogo, accompagnato gentilmente dal sig. Grassi, vidi già la terra smossa a seguito di qualche precedente assaggio venni a sapere che dal 1901 erano avvenuti dei ritrovamenti sporadici di tombe contenenti orcinoli a calice, a vaso panciuto o a piatto rialzato spesso contenenti ossa bruciate e pezzi di carbone. Quasi in ogni urna si trovò una moneta in bronzo imperiale romano del I secolo dopo Cristo, periodo al quale il sepolcreto deve appartenere. In un’urna fu trovata una moneta d’oro che fu data al sig. Rossi, un dilettante di studi antichi, gioielliere di Cuggiono.
Deplorevole è il fatto che la maggior parte dei fittili del 1901 andò disperso, ma nel 1903 il sig. Grassi trovò un’urna simile alle precedenti, con una lucernetta di terracotta, che porta la rappresentanza figurata della lupa allattante Romolo e Remo. In un’altra urna fu rinvenuta una moneta di Augusto, del medio bronzo riconiato sotto Tiberio col rovescio dell’ara o coll’esergo Providentia. Questa moneta fu raccolta dal sig. Grassi, insieme a due balsamari di vetro verdognolo, e vasi di terracotta in forma di orcinolo e di vaso rialzato.
Tutto il territorio turbighese è segnato dalla presenza romana. Lo confermano le lapidi citate nel Corpus Inscriptionum Latinarum, il Castellaccio, la Torraccia dell’ing. Tatti, il Castello innalzato sopra rovine romane (vedere il sottopiano del Castello: le cantine).
Nel 1903 il sig. Grassi rinvenne una targa circolare in bronzo (4,8 cm di diametro), ornata e forata a rilievo, di puro stile classico, sormontata da maschera leonina sporgente, che lascia un vano per farvi passare qualche stoffa o cinghia di sostegno. Inoltre, venne alla luce un piccolo manico di specchio in bronzo, tutto lavorato e ornato in tre parti: l’impugnatura a doppia mascherina figurata di genietto giovane da un lato, di genietto adulto dall’altro; il nucleo centrale a doppia nicchietta con un Cupido da un lato, un’Afrodite dall’altro sopra una specie di piedistallo ornato che ne forma la base.
Nella primavera del 1904 fu rinvenuta un’anfora di terracotta di forma conica, a tipo greco più che romano, molto appuntata all’estremo. Nel vuotarla, aderente alla parete, è stata trovata una lamina in bronzo: rappresenta nel campo a rilievo un guerriero all’inizio di una corsa in quadriga. L’elmo in testa, la corazza al corpo, di sotto la quale esce il chitone, e sul braccio destro, raccolto, col pugno stretto, gli ricade un estremo lembo della clamide. Il guerriero ha il piede destro che ancor tocca leggermente il terreno, ed è salito col piede sinistro sulla quadriga a guidare i quattro focosi destrieri. Ma già dinanzi a lui una giovane e graziosa fanciulla avvolta nel peplo e appoggiata con la destra mano alla sponda della quadriga, mentre con la sinistra afferra le redini. E’ lavoro di gusto greco, eseguito verosimilmente nei primi secoli dell’Impero, posto nell’anfora come dono votivo. (Chissà dove è finita questa elegante lamina greca?, ndr) Un’altra olla fu ritrovata contenente vasetti rituali, un ago crinale rotto, quattro fibule, due balsamari di vetro, anello in bronzo forato, tre monete di cui una di Vespasiano, due anelli in ferro.
Il 2 aprile 1904, a seguito dei ritrovamenti avvenuti, fu avviata una indagine ufficiale e dopo un’ora di lavoro si incominciò a trovare terra nera, grassa, delle tombe e si rinvenne alla profondità di mezzo metro dei vasetti, un’olla grande, od ossario con relative ossa. La calura fece sì che si ritenne di spostare gli scavi in autunno, con maggior numero di uomini e il campo libero dalle piantagioni. Diverse olle-ossario furono rinvenute con monete di bronzo probabilmente di Augusto o Tiberio, ma niente di eccezionale.
LE CONCLUSIONI. Dai ritrovamenti avvenuti si desume il carattere ‘povero’ della necropoli. Le forbici e il falcetto indicherebbero più un popolo di pastori che di guerrieri. Poche in proporzione e semplici le tombe di donna; pochi gli oggetti in bronzo; pochissimi gli ornamenti. Il rito usato è quello della cremazione e delle tombe a incinerazione per mezzo di un ossuario, entro cui spesso vi erano vasetti per unguenti, vasetti lacrimatori, monete, di rado lucernette fittili e pochi oggetti in bronzo. Unica eccezione la tomba ricca contenente la lamina in bronzo a rilievo, il manico pure in bronzo a rilievo e ornati.
DIDA Nel disegno di Mellone pubblicato sul ‘Corriere’ del 15 febbraio 1986 – in occasione del Sì della Lombardia alle trivellazioni per il giacimento del petrolio – nella stessa area del Pozzo c’era la necropoli romana della Galizia (I-II sec. d. C) dello stesso periodo di quella di Inveruno