Facendo scorrere vecchi giornali destinati all’ecocentro sono stato attratto da un titolo, ‘Il piacere dell’onestà’ che Cesare Merzagora (1898-1991) scrisse per ‘Il Giornale nuovo’ (a.II, n. 39) nei primi mesi del 1975. E’ un tempo lontano: non c’era stata ancora ‘Tangentopoli’ (nella quale si salvarono solamente i comunisti) e nemmeno ‘Mafia Capitale’ (dove i comunisti non sono riusciti a scamparla), questo per dire che chi stava in alto conosceva bene lo stato dell’arte.
Cesare Merzagora era un uomo senza peli sulla lingua, un indipendente che visse fuori dal recinto dei partiti, ma che riuscì ugualmente a diventare presidente del Senato, ma non presidente della Repubblica. Rileggiamo cosa scrisse quarant’anni fa:
“Se in Italia, invece di un Presidente della Repubblica, avessimo, regnante uno di quei sultani del primo Ottocento che usavano spedire un cappio di seta nera ai colpevoli di disonestà perché si impiccassero, gli alberi dei giardini d’Italia sarebbero orrendamente penduli di suicidi (…).
E’ ingiusto accusare soltanto il Parlamento e i parlamentari sperando forse di assolvere se stessi. Il Parlamento, in un paese come il nostro che elegge democraticamente i suoi rappresentanti, non è e non può essere che lo specchio fedele degli elettori, allo stesso modo che il vino del bicchiere rispecchia quello della botte.
La classe dirigente, industriale, finanziaria, commerciale del Paese è infatti innegabilmente scesa di tono ed in parte si è anche ‘guastata’ pensando di poter risolvere comunque i suoi problemi con mezzi illeciti e ben noti (bustocrazia).
Difficile e urgente per noi il ritorno all’onestà diventata ormai merce rara.
Non possiamo però pretendere che la povera gente, ed i giovani che vivono soprattutto di ideali, si rassegnino a quell’inesorabile fucina di scandali che è diventata la vita italiana. Rendere probo un Paese che ha perduto il piacere dell’onestà è un problema che va visto da lontano e non si risolve con la bacchetta magica. Il discorso affonda le radici non soltanto nella nostra storia, nella famiglia, nel costume e nella magistratura. Abbiamo però, tutti, il dovere di reagire perché ci potremmo trovare alle soglie non più di tentativi di ‘golpe’ politici, ma di una vere propria ribellione civile (…)”.